giovedì 31 marzo 2011

KICK-ASS

 "With no powers come no responsability. Only, it's not true"

Il primo numero de L'Uomo Ragno che ho comprato risale al novembre 1994 (numero 155, lire tremila). Abbagliato da una scintillante cover metallizzata, mi sono lasciato irretire e sono sprofondato nel vortice della comicsdipendenza. E' un guaio, ci vogliono anni e anni per trovare un equilibrio. Guarire, non se ne parla. 
Ricordo una volta di aver fatto un calcolo: quattro paghette da 10000 lire al mese non erano più sufficienti a coprire le spese di fumetti (mi toccava andare in edicola con mio padre il sabato e infilare nel mazzo dei suoi quotidiani qualcuno dei fumetti più costosi, tipo quelli da 4500 lire). Poi, ho dovuto tagliare qualche titolo (tanto Capitan America una palla era e una palla rimane).

I fumetti americani di supereroi fanno, mediamente, schifo. Avete presente Dylan Dog? Un numero bello e dieci dimenticabili. Dipende da chi scrive e da chi disegna, e vale anche per Batman e L'Uomo Ragno (solo che là le uscite sono centinaia al mese, e la proporzione tra storie decenti e mediocri è anche peggio di quella di Dylan Dog).
La miniserie Kick-Ass (8 numeri appena) è stato dunque un piccolo shock per me, ormai convinto di saperle tutte sui fumetti americani e sulla Marvel in particolare. Nudità, volgarità, violenza ed autoreferenzialità più un'idea davvero brillante: e se un adolescente appassionato di fumetti provasse a fare il supereroe? 
In breve, la trama è questa: Dave Lizewski, sfigato adolescente, decide di fare l'eroe mascherato. Alla sua prima uscita viene accoltellato e investito da un'auto che quasi lo uccide. Appena si ristabilisce, ricomincia e diventa una star (grazie a Youtube). Le cose si complicano quando pesta i piedi ad un boss della malavita e si allea con il duo di psicopatici vigilanti mascherati formato da Big Daddy e la sua letale figlioletta Hit-Girl.
Un primo atto iperrealistico e metafumettistico, un secondo più "canonico": l'idea di partenza di ambientare una storia di supereroi nel mondo reale viene parzialmente contraddetta dalla presenza di Hit-Girl, ma in qualche modo - soprattutto grazie ai testi - la cosa funziona alla perfezione.
Disegnato da un'icona come John Romita Jr., l'effetto generale è ancora più spiazzante.
Tutta 'sta pippa per dire che insomma, qualcosa ci capisco e sono dieci anni che vedo i miei fumetti essere scaraventati su uno schermo gigante, non sempre con risultati accettabili (vedi il recente, pessimo Dylan Dog), sia dal punto di vista squisitamente cinematografico sia da quello del nerd che sussulta se dal ponte viene lanciata Mary Jane e non Gwen.
Kick-Ass esce al cinema e per la prima volta da che io ricordi non c'è bisogno di adattamento: il fumetto è in pratica lo storyboard del film. Ci sono alcune non trascurabili variazioni nella trama (il che rende il film molto interessante), ma lo spirito dell'opera originale è là: Kick-Ass è una storia sui dolori della crescita, sull'isolamento della generazione Youtube e sulla mancanza di equilibrio dei tempi che corrono. Genialmente mascherata da fumetto di supereroi.
Il cortocircuito tra fumetti e lettori si traduce sullo schermo perdendo un po' il senso dell'operazione (un fumetto che parla di un lettore di fumetti fa un effetto diverso da un film che parla di un lettore di fumetti, no?) ma guadagnando in spettacolarità. Ci sono degli attori meravigliosi e c'è un commento sonoro fantastico, un vero valore aggiunto, degno in certi passaggi del miglior Tarantino.


Non c'è bisogno di leggere fumetti dal 1994 per apprezzare Kick-Ass, sia chiaro: questo è un film d'intrattenimento riuscitissimo, che non paga dazio alle mode imperanti (franchise, 3D, star fuori ruolo tipo Jessica Alba a fare la donna invisibile) ed è un grande successo di critica e pubblico (infatti da noi esce un anno dopo). Da un lato, c'è un esempio di soggetto e di stile praticamente perfetto per mezzi espressivi diversissimi (tutti gli altri fumetti sono stati pesantemente adattati almeno in termini estetici nel passaggio sul grande schermo), dall'altro un film che potrebbe essere un passo importante nella definizione di un nuovo cinema di intrattenimento, magari meno per famiglie ma comunque di ottima fattura e che non viene pubblicizzato tramite il numero di zeri in fondo alla cifra del budget. Simile, per certi versi, a Scott Pigrim vs. The World , ma più incentrato sui personaggi e graziato da interpretazioni certamente di livello superiore. I tempi di E.T. sono passati, ma guai a chi cammina con la testa rivolta indietro.

La recensione di Kick-Ass è qui. (se non c'è, ci sarà nei prossimi giorni)


Ecco il trailer....




Si ringrazia www.filmscoop.it

mercoledì 30 marzo 2011

The Ward



Volete vedere un film brutto brutto brutto? Un compendio di baggianate horror che non spaventerebbero neanche un bambino di otto anni? Siete nostalgici dei vecchi film de paura con la musica che sale sale sale e poi BUUUUUU esce il mostro? Quei film che dopo cinque minuti fai il tifo perchè il mostro uccida tutti i protagonisti e se può anche gli attori e il regista? di quelli che più  una è gnocca e peggio deve morire? di quelli che come distogli lo sguardo dallo specchio il mostro spaventoso (si fa per dire) si mette dietro e aspetta che riguardi nello specchio per aggredirti? E lo fa OGNI SANTA VOLTA CHE C'E' UNO SPECCHIO?  Di quelli con lo spaventone finale  BUUUUUUUUUU completamente gratuito? Di quelli che sembrano girati in mezza giornata perchè sono girati in mezza giornata? In cui la fotografia sembra fatta da un tossicodipendente tipo Duccio di BORIS? di quelli in cui anche se sei paziente di un manicomio e il mostro vuole ucciderti invece di farlo nel sonno aspetta sempre il momento più spettacolare, come se sapesse di essere in un film? Col mostro con la faccia  sfigurata? Di quelli che arrivi a casa tranquillo ma poi se il gatto ti apre lentamente la porta di notte mentre dormi allora sì che ti cachi sotto? Con i protagonisti inquadrati sempre di spalle così appena si girano BBUUUUUUUUUU esce il mostro? Con l'infermiera con la faccia da bulldog ed il dottore ambiguo con la faccia da pesce? Volete vedere un film che da noi esce al cinema ma in America esce - se va bene - solo in dvd? Che poi alla fine è uguale a Shutter Island ma allora come si spiega la metà delle scene col mostro, totalmente incoerenti con lo spiegone finale? di quelli che in giro si trovano recensioni positive perchè è un film "classico da un maestro dell'horror" perchè non possono scrivere che è una cazzata pazzesca?
The Ward, di John Carpenter, è il film che fa per voi. 
Da venerdì primo aprile (non a caso...). Non fate che andate a vedere BORIS o KICK-ASS e vi perdete 'sto gioiellino. Ne escono pochi all'anno così.

P.S. A me una volta Guido ha fatto lo scherzo dello specchio, scrivendo e poi cancellando e poi quando sono uscito dalla doccia a causa del vapore è apparsa la scritta W LA FICA. Là mi sono cacato sotto dalla paura finchè non ho realizzato che la profondità del messaggio poteva ascriversi solo al genio poetico del mio quasi ex- coinquilino.

P.P.S. La recensione seria del film è qui

Si ringrazia www.filmscoop.it

venerdì 25 marzo 2011

Star Wars HD CountDown -185 : JEDI TEST

Se sentite un brivido mentre lo guardate non vi preoccupate, è la forza che scorre potente...

Se non sentite niente...siete già preda del lato oscuro, non posso fare più niente per voi...

mercoledì 23 marzo 2011

Non Lasciarmi



Tre attrici di cui non tollero la vista: Keira Scucchia Knightley, Carey Fossette Mulligan (scuola Portman, lacrime a comando e perenne espressione da martire), Sally Smorfiette Hawkins.
Indovinate quali tre attrici fanno parte del cast di Non Lasciarmi. Meno male che la Hawkins si vede poco. Meno male che c'è anche Andrew Garfield, che, in quanto prossimo Peter Parker, già mi sta molto simpatico.  

Non Lasciarmi è un film più complesso di quel che sembra. A prima vista, potrebbe apparire come un melodramma su un triangolo sentimentale, da vedere con le amiche e gli amici gay. Senza dubbio, è un film incentrato sui personaggi: per quasi tutto il film, in scena ci sono i tre protagonisti, il mondo esterno assente, almeno fisicamente.

Le dinamiche tra i tre personaggi principali però contengono tutte le drammatiche domande che il film non pone, ma sussurra all’orecchio dello spettatore. Si può sentire più forte il dilemma etico di quello esistenziale, a seconda della propria sensibilità: questo è senza dubbio il punto forte del film, che appartiene a pieno titolo al genere della fantascienza e che può essere paragonato - per toni e temi trattati – a Moon di Duncan Jones.

Trama, in breve: grazie ad una scoperta scientifica negli anni Cinquanta, la speranza di vita umana ha superato i cento anni. Tramite la clonazione, vengono allevati esseri umani appositamente allo scopo di donare organi alle persone. Il ciclo di vita dei cloni si conclude intorno ai trent'anni, con una serie di espianti. Katie, Tommy e Ruth crescono insieme, in un istituto per donatori, e devono affrontare il loro destino.

Il film comincia nel 1978 e termina a metà degli anni Novanta. La cosa che mi ha colpito di più  di questo ipotetico scenario è il fatto che un mondo benedetto (?) dalla fine delle malattie più gravi sia rimasto per tutto il resto così uguale a se stesso. Non sembra infatti casuale che i progressi tecnologici occorsi tra l’epoca iniziale e quella finale non siano assolutamente percepibili, ed il film sembri essere sempre ambientato in un’epoca senza tempo. E’ come se l’allungamento della vita avesse frenato la spinta creativa umana. Sottinteso e geniale. Se poi me lo sono sognato, vabbè, il genio sono io, l'idea è mia e guai a chi me la frega. 

La passività con la quale i donatori accettano il proprio fato è sconcertante, sia emotivamente che narrativamente. Se questo comporta il rischio di non far mai scattare una totale empatia con i personaggi, porta anche ad una naturale riflessione sulla dimensione umana della mortalità e del rapporto con il tempo e la vita.
Una paletta di colori tenui e spenti accentua la sensazione di ineluttabilità che pervade il film. La prima scena, inoltre, mette subito in chiaro le cose, per impedire che lo spettatore scambi il film per un thriller e speri in una rocambolesca fuga verso un lieto finale. Non Lasciarmi non è The Island (e per fortuna), nonostante la tematica sia praticamente la stessa.

Cinematograficamente, meglio la prima parte:  più immaginifica, più inquietante, più triste, a meno di essere particolarmente colpiti dalle performance dei tre attori principali. Non è il mio caso, ma ammetto che la mia idiosincrasia per due terzi del trio protagonista ha influito fortemente sul giudizio.
I personaggi bambini ancora non hanno capito la portata del proprio dramma e sono più simili a persone vere, più istintive e vitali delle loro composte e rassegnate controparti adulte. La seconda parte del film scaturisce dalla prima in modo abbastanza naturale (forse troppo), portando maggiormente in primo piano alcune delle riflessioni che nella prima mezzora di film rimanevano volutamente in sottotesto.

Ho letto che Non lasciarmi ha incassato poco, nonostante le ottime critiche. Purtroppo, difficilmente un film del genere sopravvive a quello che mostra nel trailer o a quel che sembra (cioè un melodramma su un triangolo sentimentale da vedere con le amiche e gli amici gay) e il pubblico che attira probabilmente non si aspetta e non sa capire un film del genere. Figuriamoci in Italia.

venerdì 18 marzo 2011

Si vede dal trailer - speciale animazione

Non è intento di questo spazio far pubblicità, quindi, nonostante questo post sia dedicato all'animazione, ometto i trailer dei due film che si contenderanno gli incassi maggiori: Cars 2 e Kung Fu Panda 2. Entrambi sequel, entrambi di film non proprio indimenticabili. Se su Cars 2 posso concedere il beneficio del dubbio, sul Panda con la voce di Fabio Volo non ho dubbi. Sarà un film inutile. Dopo il 2010, un anno decisamente sottotono...



Passiamo al resto:




MARS NEEDS MOM

Si vede dal trailer, appunto: concept stupido, animazione in mocap di pessima qualità (ma perchè non la smettono?). In USA è un tale flop che pare abbia convinto la Disney ad abbandonare il remake di Yellow Submarine (anch'esso in motion capture). Grazie, pubblico americano, per avermi evitato un altro scempio degli affetti.




WINNIE THE POOH

Che sia proprio questo il meglio che vedremo? Niente 3D, niente mo-cap, niente effetti fotorealistici, niente citazionismo e battute a doppio senso. Fottutissimi disegni a mano. Vivaddio.




ARTHUR CHRISTMAS

Certo il trailer fa ridere. Però...perchè mi pare di capire già dove andrà a parare la storia?


martedì 15 marzo 2011

Si vede dal trailer (Source Code - The Music Never Stopped - The Other Woman)

Quando arrivate un po' tardi al cinema, c'è sempre lo stronzo davanti in fila che decide cosa vedere alla cassa. Anche se ha avuto tutta la fila per scegliere: sceglie alla cassa. Magari chiede consiglio alla cassiera, come fosse il maitre del ristorante. Poi ovviamente si consulta con la ragazza. Che non è d'accordo. E poi comunque vanno a vedere il cinepanettone o quello che più gli si avvicina.

Cassa Quote #1


"Acros de iuniverz: che vor dì acros? "
"mmm...al di là

(ragazzine in coda tempo fa al Warner Village di Roma. Film poi scelto: Matrimonio alle Bahamas, con Massimo Boldi)

Veniamo alle cose serie:

The Music Never Stopped

Forse è solo un drammone strappalacrime, ma J.K. Simmons è un grandissimo attore e questo potrebbe essere un bel film sul potere della musica. 



Source Code

Duncan Jones ci ha stupito con Moon. Qui sale di budget, quindi forse scende di qualità: con i viaggi nel tempo è un attimo che ti ritrovi una trama incoerente, vediamo un po'...



The Other Woman


Girato prima dell'Oscar: per contratto, dunque, la Portman ha una scena di pianto disperato. Speriamo che d'ora in poi non sia obbligatorio vederla piagnucolare sempre, ma intanto, per quale motivo dovrei vedermi la versione aggiornata di Nemiche Amiche?

lunedì 14 marzo 2011

Rango


“E’ un’arte, non una scienza esatta!” 
Cosa si chiede all’animazione? Probabilmente prima di tutto di fare tanti soldi, così come a qualunque altro prodotto. Lo capisco, e mi adeguo: nondimeno, mi aspetto sempre uno scarto immaginativo rispetto ai film live-action, perchè c’è una maggiore possibilità espressiva ed il totale controllo sui personaggi, che non sono -almeno fisicamente – il frutto di un’interpretazione: sono proprio così, sono proprio loro, non c’è bisogno di guardare oltre la maschera dell’attore e non ci si può basare sui propri sentimenti per la star. Quante volte non vediamo un film perchè “ Tom Cruise mi sta sulle palle” o “Jack Black lo adoro qualunque cosa faccia”? 

Con i personaggi di animazione questo gioco non vale: ti devono conquistare mentre li conosci, devono essere familiari e affascinanti allo stesso modo. A volte ce la fanno, molte volte no e spesso il segreto del successo è tutto là. Ma, come dice Rango a proposito della capacità di cambiare colore, è un’arte, non una scienza esatta. Angolo Quark: i camaleonti non cambiano colore per mimetizzarsi, contrariamente alle credenze popolari e anche a quelle di Rango stesso, che infatti ha diversi problemi ad adattarsi a quello che lo circonda, sia fisicamente che psicologicamente. Rango è un pesce fuor d’acqua ovunque vada, anche se prova a fare di questo la sua forza, come nella scena del saloon. Il fatto che gli riesca spesso e volentieri fa di lui uno di quegli idioti di successo che al cinema si possono solo amare.

Che animale è Johnny Depp? Jack Sparrow, Edward Mani di Forbice, Sweeney Todd, James Barrie, Ichabod Crane, tutti personaggi sopra le righe, interpretati spesso con un eccesso di espressività invece che per sottrazione. Depp è un camaleonte. Rango è un camaleonte. Il sillogismo vien da sè. Tra tutti gli alter ego di Depp, Rango somiglia molto proprio al capitano Sparrow per la sua apparente svagatezza, mentre nel mondo dell’animazione ricorda vagamente Z la formica, altro animaletto nevrotico e digitale.

Senza dubbio, il camaleonte in crisi di identità che vorrebbe fare l’attore ma che si improvvisa pistolero è uno dei personaggi più riusciti degli ultimi anni. Il misto di intraprendenza, leggerezza e insicurezza lo rendono irresistibile già dalla prima – divertentissima - scena. Lo spaghetti western messo in piedi da Gore Verbinski fa il paio con il western “classico” dei fratelli Coen e fa del 2011 un grande anno per il vecchio West. I toni di Rango non sono lontani da quelli di Lo chiamavano Trinità (senza scomodare Sergio Leone, a cui comunque si fa riferimento), con una serie di personaggi buffi e a tutto tondo che combattono nel deserto fuori Las Vegas per la poca acqua rimasta.
L’atmosfera crepuscolare, smorzata solo parzialmente dalle varie gag e dal coro dei gufi mariachi, si addice al western degli eroi senza nome a cui Rango appartiene di diritto tanto quanto Clint Eastwood e che Verbinski rielabora e rimodella in maniera geniale su una comunità di animali di media taglia (basta guardare i fondali e da cosa è fatta la città di Dirt) in lotta per la sopravvivenza ed in cerca di un eroe.
Aggiungere una buffa commedia dai risvolti ecologici e psicologici a tale contesto fa parte dei privilegi di lavorare (in maniera intelligente) con l’animazione, sfruttandone la libertà espressiva di cui sopra. Se si accetta un camaleonte parlante nel vecchio west, è facile anche accettare un catalogo di eccentricità ai limiti del disturbo mentale che tanto piacerebbero a Woody Allen. O a Jack Sparrow.
Senza dubbio da vedere in lingua originale per godersi Depp, anche se Nanni Baldini è egregio come sempre (ma troppo riconoscibile).
Miglior animazione del 2011? Molto probabile.

venerdì 11 marzo 2011

Si vede dal trailer

Nuova rubrica, con i film da vedere e quelli da evitare, quelli che "si vede dal trailer".
Cominciamo con tre film che verranno e che dal trailer promettono benissimo, sperando che mantengano le promesse:

Super 8

JJ Abrams dopo Star Trek ha tutta la mia stima, e dal trailer sembra un grande ritorno ai temi del vecchio Spielberg (E.T. su tutti). Da oggi, uno dei film che aspetto di più.




Beginners

Commedia romantica, Ewan e Melanie, che altro desiderare? (il cane senza dubbio!). Speriamo...



Rubber

O è una cagata, o un capolavoro. Non ci sono alternative...



Intanto oggi esce Rango....che a scatola chiusa prevedo sarà il miglior film di animazione dell'anno, quindi da non perdere assolutamente:

I ragazzi stanno bene


Qui il mio articolo sul film, scritto durante il Festival di Roma. Qualche altra considerazione, a distanza di tempo:
I ragazzi stanno bene racconta in chiave leggera di una famiglia moderna: due mamme lesbiche (Julianne Moore e Annette Bening) e due figli concepiti artificialmente, uno per ciascuna, dallo stesso donatore (Mark Ruffalo), che irrompe nelle loro vite con effetti devastanti.
Il concept in fondo può andare bene per una serie televisiva (americana, in Italia ce lo sogniamo, a parte che è illegale), ma il film è graziato da tre performance praticamente perfette (in originale Mark Ruffalo è impressionante) e da una sceneggiatura che procede spedita, fugge i luoghi comuni e si basa su dialoghi serrati e divertenti. Julianne Moore, in particolare, ha un lato comico che dovrebbe sfruttare più spesso e stupisce sempre per bravura e per  versatilità, a pensare i ruoli che sceglie.
La cornice è quella classica (americana): casa col vialetto, tenore di vita medio alto, figlia grande in procinto di andare al college (momento sempre importante per le famiglie americane), figlio piccolo alle prese con problemi adolescenziali, crisi coniugale, stavolta – ovviamente - sui generis, come il triangolo “a più livelli” che si instaura tra i tre protagonisti.
La normalità, la quotidianità e gli eventi eccezionali, dolorosi, attesi o imprevisti che bisogna sempre affrontare e che possono mettere a repentaglio l’unità familiare: la “diversità” è solo il pretesto per uno dei triangoli più complessi e strampalati che si ricordino, non c’è alcuna lezione morale da imparare (per fortuna). A parte questa, cioè, che appunto non dovrebbe far notizia una situazione familiare del genere. Voglio proprio vedere invece come titoleranno i giornali italiani....

Il Gioiellino



 “A parte quei 14 miliardi di buco, l’azienda è un gioiellino” (Calisto Tanzi) 

In fisica, una trasformazione reversibile è una trasformazione in cui le grandezze variano in maniera infinitesimale, così che sia sempre possibile invertire il processo. Sommando un gran numero di trasformazioni reversibili, si ottiene un effetto non reversibile. Applicando lo stesso concetto al limite che si impone alla propria coscienza, si rischia di ritrovarsi quasi senza volerlo molto lontano – eticamente – dai valori di partenza.Se poi compri e scambi i giocatori con Cragnotti con i soldi del Monopoli, e l'Inter viene a Parma e perde sistematicamente per dieci anni, beh permetti che mi incazzo pure.


 Il film inizia dalla fine, dall’arrivo della finanza negli uffici della Leda. Non è un mistero, si sa come è finita alla Parmalat. Più interessante capire come da una salumeria si possa arrivare ad uno degli scandali economici più macroscopici e vergognosi di sempre.
Il Gioiellino di Andrea Molaioli è ispirato alle vicende del crac Parmalat di Calisto Tanzi: non è difficile riconoscere personaggi ed eventi, ma non si deve commettere l’errore di pensare che la vicenda sia tutta là. Non è così: il lato tragico della vicenda Parmalat, ovvero quello che è accaduto ai piccoli investitori, e quello più nero, ovvero la connivenza del sistema bancario e dei poteri forti, vengono lasciati sullo sfondo. E’ una mancanza grave se ci si aspetta da questo film un j’accuse nei confronti appunto del capitalismo d’assalto o un film reportage, ma diventa un dettaglio se si coglie nel film l’intenzione di rappresentare – tramite la megalomania di Tanzi/Rastelli – la miseria umana di una certa imprenditoria italiana e in generale una distorta idea di successo e di valori che – grazie ad illustri, pessimi esempi – si è radicata nella testa delle persone. In cosa ci stiamo trasformando, quasi senza accorgercene? Cosa stiamo lasciando che accada a tutti noi, cloroformizzati da un'idea di successo malsano e addestrati a guardare il dito che indica invece della luna?

Amanzio Rastelli (Remo Girone) è un personaggio sin troppo umano (mi ha ricordato Il Caimano, quando il personaggio di Michele Placido voleva umanizzare Berlusconi per renderlo più affascinante per il pubblico), che quasi si ritrova costretto a sporcarsi le mani per preservare la sua amata azienda, mentre gli squali, intorno, gliela azzannano. Sembra il Giovanni Rana della pubblicità, quello che cucina per i nipotini. E’ la sua ingenuità a rovinarlo, non si riesce – merito di Girone – a volergli del tutto male.
E’ Toni Servillo però il cuore del film: il suo Ernesto Botta, ragioniere ambiguo, efficiente orchestratore di tutti i raggiri economici della Leda, amorale ma fedele al capo, è un altro capolavoro dell’attore napoletano. A lui sì, si vuole male, istintivamente.

Botta e Rastelli sono personaggi complessi, sfaccettati, umani e per questo corruttibili, in primo luogo da se stessi, che si trasformano a poco a poco da orgoglio a vergogna dell’Italia. Andrea Molaioli dirige con sicurezza, senza virtuosismi: Il Gioiellino è un film sobrio e lineare, volutamente didascalico in certi punti. Non è Il Divo, per intenderci, e non è un reportage. E’ realistico proprio perchè i due personaggi principali non sono trasfigurazioni macchiettistiche, slegate dalla realtà, concepite perchè il pubblico si autoassolva (in pratica il difetto principale del cinema italiano). Quello che accade nel film può succedere perchè è successo, ma soprattutto perchè basta guardarsi intorno per capire che praticamente chiunque, nell’initimità del proprio individualismo miope e maleducato, è un piccolo potenziale Tanzi. 

lunedì 7 marzo 2011

The Fighter



Uno pensa alla boxe al cinema e vede Rocky. Se proprio è un cinefilo, magari vede Toro Scatenato. Ma subito dopo, vede Rocky. E di che parla Rocky? Del sogno americano, del non avere paura, del credere nei propri sogni e del rialzarsi dopo un k.o. Se non sbaglio è nell'ultimo, geriatrico, Rocky Balboa che Rocky dice a suo figlio qualcosa come "l'importante è come sai resistere ai colpi, come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti". E' la boxe elevata a metafora della vita ad Hollywood che commuove e consola gli americani, convincendo i meno fortunati di avere sempre una possibilità e i più fortunati di avere sempre un cuore.

Togliete la fanfara di Bill Conti, togliete Stallone, il ralenti e le frasi fatte ed ecco The Fighter. Ad onor del vero, vanno aggiunte le quattro splendide performance principali: Christian Bale, Amy Adams, Mark Wahlberg e Melissa Leo. Oscar a parte, l'intensità delle quattro interpretazioni sostiene il film dall'inizio alla fine. A maggior ragione per chi, come noi, sente queste storie lontane, geograficamente e socialmente, è importante avere un appiglio emotivo forte. La prova di Christian Bale è commovente: il ritratto di Dickie Eklund, astro della boxe finito in una vita di rimpianti ed illusioni distrutta dal crack,  è il vero tema del film, nascosto dietro la vicenda di del fratello Micky (Wahlberg) a caccia del successo sul ring. "Il mio ring è la strada" diceva Rocky ad un certo punto: così è per Dickie: sceso dal ring, si è fatto prendere a pugni dalla vita ed ora cerca un riscatto riflesso nelle prestazioni sportive del fratello, spesso complicandogli le cose invece di aiutarlo. 

Come Dickie, l'intera comunità cittadina (madre, sorelle, fidanzata, allenatore, amici...) di un'America di serie B si specchia nell'eccezionalità di uno dei suoi membri, essendo incapace di riscattarsi socialmente sia come collettività che nei suoi singoli individui. La consolazione per essere nati, vivere e morire a Lowell, Massachussets è essere conterranei di Dickie Eklund, che una volta ha messo a tappeto Sugar Ray. Forse. E quando la leggenda di Dickie viene sporcata da un documentario sulla tossicodipendenza, a Lowell c'è bisogno di un nuovo eroe.
La capacità di dare un'anima - di luci e ombre - non solo ai due "combattenti", ma anche all'ambiente dal quale provengono è il valore aggiunto di The Fighter ad una cinematografia che secondo me ha detto già tutto da tempo. Mostrare allo stesso tempo le difficoltà dell'ascesa e le conseguenze della resa sono ciò che differenzia The Fighter dai suoi simili. A Rocky ci sono voluti sei film per fare lo stesso, ma - scherzi a parte - non sono film confrontabili, figli di epoche ed idee di cinema troppo distanti.   

Sarà che, dopo film come Il Cigno Nero, 127 Ore ed Il Grinta, al momento i miei standard sono un po' più alti del solito, ma The Fighter non mi ha entusiasmanto e mi ha convinto - in assoluto - meno anche de Il discorso del Re, per cui vale in fondo lo stesso discorso: fa sempre bene vedere delle belle prove di recitazione, ma per gridare al capolavoro oggi questo non può bastare.

Per quanto ineccepible sotto ogni punto di vista tecnico (c'è anche una splendida colonna sonora), The Fighter è in fondo sempre l'America che si parla addosso, con il suo linguaggio e la sua filosofia. C'è un limite numerico di iterazioni dello stesso concetto oltre il quale ripeterlo non ha più senso, anzi è controproducente: per me quel limite è stato già superato e The Fighter non mi ha detto niente.  
E' una questione di gusti personali e aspettative, intendiamoci: The Fighter è il massimo che può essere ed è senza dubbio un ottimo film. Come tanti. Il difficile è essere un film come pochi. 

venerdì 4 marzo 2011

Le mezze stagioni al largo dei bastioni di Orione



Anche Blade Runner. Sequel, prequel, giochi. Insomma, ecco l’ennesimo barile con un fondo tutto da grattare. Poco da star sicuri davanti a dichiarazioni tipo “resteremo fedeli al film”. Excusatio non petita. C’è poco da indignarsi, è inutile gridare al sacrilegio. George Lucas lo fa da anni, ma almeno la gallina dalle uova d’oro è la sua. 

Invece noi poveri cinefili, che abbiamo registrato le VHS dalla tv, abbiamo comprato i dvd, li abbiamo ricomprati in edizione speciale e sostituiti con i Blu-Ray, noi che andiamo al cinema, che leggiamo le riviste e sappiamo anni prima (e non alla cassa del cinema) quali film usciranno e quando, noi che riconosciamo una comparsa in un film e passiamo mezzora a chiederci dove l’abbiamo vista rischiando di perderci la trama, noi poveri stronzi, insomma, che alimentiamo quest’industria con il cuore oltre che con il portafogli, dobbiamo assistere impotenti alla sua trasformazione peggiore. Le major cinematografiche fanno parte o sono diventate dei colossi di entertainment che spaziano dalla tv ai videogiochi alle app per i telefonini. 

Prendete la Sony: cinema, hardware, videogames: è ovvio che si muova in maniera organica, promuovendo al cinema il 3D per poterlo poi lanciare sui televisori e sulla Playstation. A scapito della qualità delle singole aree, ma a tutto vantaggio dei dividendi complessivi. Prendete la FOX: LOST ha mostrato che il cinema oggi si fa in TV. Con le serie, con i franchise. Ecco allora che arriva il quinto film sugli X-Men, quando i primi due bastavano eccome. Mentre la Sony dopo meno di dieci anni già riavvia Spider-Man per una nuova generazione di ventenni.  Mentre la Disney compra la Marvel, mentre la Marvel fa in modo che i fumetti siano allineati alle uscite cinematografiche, sincronizzando ad esempio colpi di scena e rinnovamenti del tutto inutili o peggio ancora fuori contesto, come le scellerate idee che hanno distrutto Spider-Man per renderlo più appetibile al pubblico cinematografico. Risultato: io sono scontento sia dei fumetti che dei film. Ma intanto i soldi glieli ho dati. 

Altra prassi avvilente: il riconoscimento a posteriori che effettivamente i sequel facevano schifo, con lo scopo di promuovere il nuovo sequel che – questo sì, signora mia- rispetta l’originale. Lo ha fatto Johnny Depp per il quarto Pirati (ma non mi pare che all’epoca fosse contrariato da Pirati 2 e 3, anzi), lo hanno fatto tutti per Indiana Jones 4 parlando del 5 e lo ha fatto Shia Leboeuf per Transformers 2. Ovviamente a proposito del 3. Ma un minimo di dignità, ogni tanto?   

E le idee? La qualità? L’arte? Super Mario? I Goonies? X-Files? Indiana Jones?  Si va verso un nuovo concetto di fruizione "convergente", che forse farà orrore a noi, ma sarà normale per chi oggi traffica con l’iphone senza saper ancora camminare in maniera dignitosa. Il valore di un prodotto sarà (è) misurato nella sua capacità di adattarsi alle diverse piattaforme di distribuzione. Brand al posto di titoli, e defenestrazioni di tutti i concept non "moltiplicabili". Una buona idea dovrà essere diluita su un certo numero di prodotti e assoggettata a certe strategie aziendali. Ecco perchè i film ad alto budget fanno quasi tutti schifo. Non sono film. Avete presente Iron Man 2? E' un trailer di due ore.
Il film sarà solo un pezzo del puzzle, magari quello principale, ma di certo non l’unico. Necessario, ma non sufficiente. Perchè bisognerà giocare al videogame per capire il passato dei personaggi o scaricare i contenuti online per approfondire le sottotrame. O guardare la serie per collegare il primo film al secondo. E riempire le pagine dei forum di stronzate (l’orso polare di LOST alla fine che c’entrava?), così anche gli operatori telco vedono qualche euro. Non mi piace, anzi mi fa schifo. Però ad arrabbiarmi farei le canoniche tre fatiche (in particolare la terza), e certo basterebbe guardare i candidati all’Oscar per miglior film per stare comunque tranquilli, anche se non bastano ottimi film drammatici per compensare la deriva di quelli leggeri.

La scintilla del genio riuscirà ad accendere qualche luce ogni tanto, non è che non ci saranno più film eccellenti anche tra i prodotti di entertainment. E prima o poi finirà anche lo sfruttamento dei vecchi capolavori, quando i concept moderni avranno saturato il mercato. La fase di transizione è in corso ed è dolorosa come ogni momento di crescita e cambiamento. La prima vittima è il cinema di intrattenimento, la seconda è il pubblico, che però si adatta facilmente. E, come dice Morgan, sceglie sempre Barabba. 

E noi poveri stronzi? Avremo sempre Parigi.