lunedì 8 marzo 2010

Alice in Wonderland

"I migliori sono tutti matti"
Alice è un compito difficile, per chiunque. Walt Disney aveva un tocco magico, poteva rielaborare le storie e renderle più vere di quelle vere, ma pure lui con Alice fece un mezzo passo falso. Tim Burton sceglie un’altra strada, più al sicuro dal confronto con l’originale (che forse più che quello di Carroll è proprio quello di Disney) ma più impervia per le sue capacità, fermo restando che è l'unico, oggi, che può misurarsi con un'impresa del genere. L’intuizione di sviluppare una sceneggiatura originale e di avere un’Alice adolescente è uno dei meriti che vanno riconosciuti a Burton, ma dare coerenza ad un paese di matti governato da strane leggi fisiche è un po’ un controsenso e le doti registiche di Burton si sposano certamente meglio con una carrellata di sequenze e quadretti in cui dare libero sfogo alla sua visionarietà più che con lo sviluppo di una trama solida. Essendo una produzione Disney, i personaggi coinvolti nella storia sono più o meno quelli del vecchio film d’animazione filtrati dall’occhio gotico di Tim Burton, ma questo Alice in Wonderland non è un sequel vero e proprio: il Paese delle Meraviglie non è un posto che Alice sogna, bensì un regno (Sottomondo) in cui due regine si contendono il potere ed una profezia annuncia l’avvento del paladino della Regina Bianca che la aiuterà a tornare sul trono. Alice, diciannove anni, sognatrice e intollerante alle regole della società vittoriana, tormentata fin da piccola dallo stesso incubo (buco – coniglio – dodo – etc etc) viene riportata a Sottomondo per essere il paladino della Regina Bianca, ma gli abitanti, nel vederla, non sono sicuri che sia la vera Alice, la stessa che avevano incontrato da piccola. D’altra parte, Alice ha perso la sua “moltezza” e crede ancora che sia tutto un sogno… Alice in Wonderland ha dei momenti strepitosi ed è una gioia per gli occhi (peccato che quei maledetti occhialini polarizzati abbassino la luminosità eccessivamente): la scena della caduta nella tana del Bianconiglio, la prima scena col Cappellaio e la Lepre (decisamente il mio matto preferito), più o meno tutte le scene con Helena Bonham Carter. Il resto appare confuso e frettoloso: la prima cosa a non convincere è la trama della profezia e del duello con il Ciciarampa. L’esito è scontato, la tensione non monta mai e il conflitto interiore, comunque appena accennato e mal sfruttato, di Alice si risolve banalmente con Alice che sceglie quello che tutti si aspettavano (salvo poi capire, chissà come, che deve prendere in mano la sua vita). L’Oracolo a che serve alla fine? Perché il Bianconiglio lo ruba alla Regina rischiando la pelle quando poi non ci fanno niente? Perché Alice, essendo già stata a Sottomondo, non ha affrontato il Jabberwock (poi perché Ciciarampa??) da piccola? Come ha fatto a tornare indietro nel mondo reale da bambina? Il finale è un po’ sottotono. Cos’è?, la versione 2010 de Il Mago di Oz? There’s no place like home? Certo, il Sottomondo di Burton assomiglia molto al mondo reale di Alice ed è davvero poco invitante (ma da vedere è bellissimo, anzi, si vede troppo poco), la Regina Bianca non sembra poi tanto sana di mente comunque, ma insomma…se il tutto si risolve con l’essere una metafora di Alice che entra nell’età adulta…beh che tristezza! Insomma, come la sua protagonista, Alice in Wonderland sembra mancare di moltezza e i personaggi - bellissimi – sembrano incatenati in una trama non proprio originale e non avvincente che non rende giustizia alle loro potenzialità. Lo stesso Burton sembra più preoccupato di dare spessore alla trama (insistendo forse troppo sul Cappellaio) che di divertirsi come avrebbe potuto. Tirando le somme, il totale non è maggiore della somma delle parti come ci si poteva attendere: limiti ed errori di Burton, certo, ma anche l’impermeabilità del Paese delle Meraviglie ad una qualsivoglia rappresentazione diversa dall’originale di Carroll. p.s. Lo strepitoso cast di voci originali suggerisce fortemente una visione in inglese… p.p.s. Dopo Mostri contro Alieni, UP, Avatar e Alice, il mio personale giudizio sul 3D è che non serve assolutamente a nulla. Finora solo Coraline ne ha fatto un uso vagamente creativo ma preferisco vedere i colori del film piuttosto che due o tre cosette che escono dallo schermo.
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4 commenti:

  1. Cominciamo dalla fine; in ogni caso, cominciamo male:

    "Madre, non temere, saprò come rendere utile la mia vita"

    Caspita, questa è una delle ultime battute di Alice. Uno ha la possibilità (anzi l'intenzione) di mettere le mani sul più grande capolavoro di nonsense della letteratura mondiale, e tutto quello che riesce a cavarne è puro common sense vittoriano mascherato da femminismo all'acqua di rose. Se poi questo uno è il regista più creativo tra i viventi, fresco di leone d'oro alla carriera - con la possibilità, dunque, di essere audace e autonomo quanto vuole - e con a disposizione cast di stelle e budget tipico delle grosse produzioni, beh, la delusione è d'obbligo.
    Perché l'immaginifico Burton non funziona? Perché quando si ha a che fare col capolavoro (per essere generosi), l'immaginazione non basta. Diceva Wilde (che del buon senso vittoriano si faceva beffe e che di questa Alice avrebbe salvato probabilmente solo i costumi), citando Diderot, che "l'immaginazione imita, è lo spirito critico che crea". Da questo film, e non solo da questo, si deduce che Burton di spirito critico ne possiede pochino. Il regista si sforza di fare l'autore (errore: già Carroll era di troppo, a che ne serve un altro?) e trasforma la "clueless" Alice della tradizione da lui biasimata in un personaggio da quattro soldi: le toglie l'infanzia (Carroll si rigira nella tomba) e la trasforma in una ragazza munita di storiella personale, psicologia e follia piena di buon senso. Così, da subito si ha l'impressione che si tratti dell'Alice sbagliata: l'impressione non è solo mia, ma è condivisa anche dai personaggi dell'Underworld; se loro poi si convincono del contrario, è solo perché vogliono salvare la pellaccia (hanno bisogno di un paladino): pure loro, sviliti, sacrificano la follia che li contraddistingue per un finale consolatorio. Si consolano loro, si consola mammà (vd. battuta sopraccitata) e si consolano pubblico e critica (stroncando Burton si passerebbe per conservatori; stroncando la deliranza di Depp si passerebbe per esseri privi di senso dell’umorismo).
    Si obietterà che Burton non vuole rifare Carroll, ma vuole creare una storia. Peccato che non lo faccia, perlomeno non brillantemente, visto che il massimo che ottiene è un fantasy con un messaggino per il grande pubblico appiccicato tra l'inizio e la fine del film. Burton sacrifica buona parte della sua visionarietà per una narrazione senza picchi (siamo lontani anni luce dal pathos di Big Fish) e condensa la sua estetica in poche trovate di classe che, tuttavia, non riescono a bilanciare la pochezza dello script. Con Willy Wonka Burton fece un film di quadri e scenette a scapito della storia, dando libero sfogo alla sua immaginazione, e il risultato fu decisamente inferiore all’originale; con Alice procede al contrario e non ha, a mio avviso, maggiore fortuna. Mi viene in mente Beckett: “Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”.

    Lo Stroncone.

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  2. Se mi succede qualcosa il blog è tuo.

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  3. Eh eh eh... e io che pensavo che Giovanni fosse critico...d'ora in poi considererò solare ogni sua recensione :)

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  4. hai visto come viene su bene? E' una soddisfazione. E' che vede pochi film.

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