lunedì 10 gennaio 2011

Megamind

Il primo a lanciare la moda di morire e risorgere fu Superman. Oggi, se non sei morto e risorto almeno una volta, nei fumetti di supereroi americani, non sei nessuno. Un po’ come nel Cristianesimo. Da Wolverine a Iron Man, da Batman a Spider-Man, un giro nell’aldilà se lo sono fatto tutti. Persino zia May. Effettivamente, il fatto che intorno all’eroe caduto ci sia comunque una comunità di supereroi ha sempre impedito che la nemesi di turno si approfittasse veramente della situazione. Che farebbe Joker dopo la morte di Batman se questi fosse l’unico supereroe in circolazione? Dreamworks, che sulle parodie ha costruito una sequenza impressionante di successi (spesso di bassa qualità), parte da questo presupposto per Megamind, che mette alla berlina la ripetitività dei fumetti di supereroi facendo trionfare il cattivo (Megamind, appunto) e lasciandolo indisturbato sulla piazza. Megamind, però, dopo aver ucciso il rivale di tutta la vita, l'odiosissimo MetroMan (praticamente Elvis Presley con i poteri di Superman), si ritrova presto senza uno scopo di vita, annoiato dalla mancanza della routine dello scontro bene/male: per riportare equilibrio nella Forza decide dunque di creare un nuovo paladino della giustizia con cui confrontarsi. Come in ogni piano di supercattivo che si rispetti, qualcosa va decisamente storto… Il finale si intuisce nel momento stesso in cui inizia la seconda parte del film, anche perché più o meno il tutto è molto simile a Cattivissimo Me, uscito pochi mesi fa. Non importa, perché effettivamente il ritmo ed il susseguirsi degli eventi sono tali che arrivare alla fine è solo la scusa per godersi il viaggio. Megamind racconta quindi cosa accade quando vince un supercattivo sfigatissimo: se vincessero Lex Luthor, o Joker, col cavolo che si preoccuperebbero di creare un nuovo Superman o Batman per mancanza di stimoli. Diciamo che lo spessore di Megamind, come cattivo, è molto più vicino a quello di Pietro Gambadilegno che a quello di Darth Vader: geniale e complessato, gentile ma frustrato, incattivito dalla sfortuna e dalla gelosia per MetroMan più che per un’indole veramente malvagia, Megamind è uno dei personaggi più completi e sfaccettati mai usciti dai computer della Dreamworks (probabilmente per sbaglio). Peccato per quegli eccessi di stupidità, che ci giurerei, sono da attribuire alla dubbia comicità di Will Ferrell, che doppia Megamind in inglese, che stonano particolarmente all’interno di un film che già è una parodia e per un personaggio che non ne ha alcun bisogno per risultare divertente. Fosse stato doppiato da Woody Allen, sarebbe stato un capolavoro. Da sottolineare una colonna sonora hard rock da urlo e alcune scene veramente riuscite: su tutte l’inizio, che da parodia delle origini di Superman diventa analisi psicologica di Megamind ed un perfetto stratagemma per schierare subito lo spettatore dalla parte del cattivo (lezione mutuata da Pixar?) e il colpo di scena che si ricollega alla morte di MetroMan verso la fine (ret-con in puro stile Marvel). Il risultato è convincente, soprattutto perché lo sfrenato citazionismo tipico dell’animazione DreamWorks è estremamente limitato (ma comunque fastidioso), e lascia spazio ad una narrazione coerente e senza digressioni demenziali. L'intuizione iniziale, stavolta è seguita da uno sviluppo alla sua altezza. Poteva andare peggio, e anche di molto: se sia stato il caso o una più attenta calibrazione dei vari elementi narrativi ad aver prodotto questo risultato non lo sapremo mai. Inoltre, per la versione italiana si è scelto finalmente di NON affidare il doppiaggio a qualche star televisiva per imitare la versione originale (che ha Will Ferrell, Brad Pitt, Jonah Hill e Tina Fey). Megamind è divertente, viene voglia di rivederlo, addirittura di sperare che Dreamworks continui così: nell’anno che ha visto la fine di uno Shrek spremutissimo, sono stati lanciati due nuovi potenziali franchise: Dragon Trainer e, appunto, Megamind. Si parte da ottimi risultati (che verranno sprecati nei sequel, temo…), ma si può avere, per una volta, un cauto ottimismo.

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