"Unless you love, your life will flash by"
Difficile tradurre in parole l’esperienza di The Tree of Life senza banalizzarne la portata. The Tree of Life non è un film da capi’ , come ha sentenziato la nostra vicina di posti, annoiata e perplessa alla fine della proiezione (le modalità di scelta dei film da parte del persone di estrazione culturale medio bassa dovrebbero essere studiate attentamente): c’è poco da capire.
Bisogna semplicemente accoglierlo, tentare di immergersi nella riflessione universale che Terrence Malick affida ad un trionfo di musica ed immagini che ricorda inevitabilmente 2001 Odissea nello Spazio. The Tree of Life ci obbliga a rallentare: i tempi della narrazione sono dilatati, negati, manipolati affinchè non ci sia linearità: la trama – esile – scompare, senza che se ne senta la mancanza, sostituita da un flusso di coscienza che ruota intorno ai grandi interrogativi dell’esistenza umana: perché siamo qui, cosa forma la nostra coscienza, che ruolo hanno il dolore e il suo ricordo nella nostra percezione della realtà, quanto di divino ci sia in noi e quanto fuori di noi. Presumere di avere una risposta significa essere in grado anche di articolarla in un discorso, o in un film. Malick invece, da grandissimo regista, riesce a riportare l’attenzione sulla domanda. Non cercate la risposta in The Tree of Life, perché sfuggirà ogni volta che sembrerà trovata (nella Bibbia? Nella scienza? Nell’accettazione? Nell’amore?).
Malick ci ha regalato un’opera che è un manifesto della specie umana, un riassunto di dove siamo ora, figli di una storia personale ed universale che ci attraversa e ci modifica in uguali proporzioni, anche se non ne siamo consapevoli. L’idea che avevo, osservando alcune scene, era che The Tree of Life potrebbe essere inviato nello spazio come descrizione di quello che siamo, a livello sociale, artistico e naturale. In allegato, avrei inviato anche la nostra vicina di posto, ma più che altro per levarmela dai coglioni.
Il film è un invito a fermarsi ed a pensarsi in maniera universale, un viaggio nella coscienza alla ricerca di un modo positivo (non deterministico, non fatalistico, non rinunciatario) di affrontare i propri conflitti e le contraddizioni della vita, per trovare un posto nel mondo. Chi non ha già una propria risposta definitiva in merito, sicuramente apprezzerà (di più degli altri?) il tentativo, assolutamente convincente, di Malick di dare una forma a degli interrogativi che generalmente è difficile esprimere a parole.
Più di Sean Penn, che è poco più di un’incisiva comparsa, risaltano le performance di Brad Pitt, padre autoritario e Jessica Chastain, madre compassionevole, poli opposti dell’amore familiare, catalizzatori delle forze che danno equilibrio alla nostra natura umana, che riescono a risaltare pur nel tessuto poco lineare che Malick costruisce intorno alla vicenda centrale della famiglia. Non è un film di personaggi e conflitti, però: le vicende umane -filtrate da un montaggio che le assimila a ricordi lontani più che a veri spazi di narrazione oggettiva - sono un elemento che si pone sullo stesso piano delle sequenze naturalistiche o della colonna sonora: sono solo un elemento del tutto, una delle vie d’accesso ai tanti punti interrogativi che dovrebbero restare nella nostra testa alla fine del film.
The Tree of Life è un film per pochi ma buoni: un capolavoro di regia, commento sonoro, montaggio e profondità, che non offre chiavi di lettura immediate o superficiali, che richiede di essere accolto ed elaborato nel buio di una sala e non nella penombra di un salotto. La potenza delle immagini e la suggestività delle musiche passa anche per la dimensioni degli impianti, questo più di tanti altri è un film da cinema, anche se ne ripudia tutti gli aspetti commerciali.
Direi film dell’anno, ma fatico a definirlo film.
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