venerdì 4 febbraio 2011

Il discorso del Re

Colin Firth, Geoffrey Rush. Fine della recensione: quando a due attori superlativi dai un copione come quello de Il discorso del Re, basta sedersi, lasciarli fare e godersi lo spettacolo. Difficile dilungarsi su film come questi. La valanga di candidature agli Oscar è francamente esagerata, soprattutto considerando che capolavori come Shutter Island ed Inception sono stati considerati poco e niente, perché – al netto di due enormi performance – non è che Il Discorso del Re si faccia ricordare per la regia o il montaggio. Si sa che candidature e premi sono frutto di calcoli, accordi e strategie di marketing, quindi lungi da me polemizzare, è una parte del circo. Un tale successo si spiega però perché mentre si guarda Il Discorso del Re si ha la sensazione di vedere un film di un’altra epoca, lineare e sostanzioso, senza la volontà di stupire ed esagerare (penso anche all’ultimo Eastwood) o contrapporsi alla leggerezza americana andando su strazianti film di denuncia tratti da tragedie vere.
Si racconta del principe di uno dei regni più grandi del mondo, maledetto da una balbuzie quasi invalidante, pessima compagna per un principe non erede, designato dal protocollo di corte soprattutto a…tenere discorsi. Si racconta, come in una favola, di come il principe combatta il suo drago ed accetti il peso di una corona che non sembrava destinata a lui grazie al più improbabile degli aiutanti.
La famiglia reale inglese da anni è lo squallido teatrino dei gossip d’oltremanica, e i film sulla nobiltà di solito hanno per protagonisti i costumi e le scenografie. Tom Hooper riesce invece ad evitare questi facili tranelli, pur viaggiando sul filo del rasoio, e a dare un cuore ad un tipo di personaggio di cui oggi, al cinema, si può fare certamente a meno: anche i ricchi piangono, ma si asciugano le lacrime su fazzoletti di seta, quindi, in generale, che ce frega a noi?
Un film che riesca a fare della linearità un valore, oggi che il peso della sceneggiatura si misura in colpi di scena e tranelli tesi allo spettatore, va visto al cinema ed apprezzato nel buio della sala, che sicuramente fa da cassa di risonanza per due meravigliose interpretazioni. Semplice e commovente, non senza bei momenti comici, la storia dell’uomo dietro il principe e del dottore che lo cura prendendosi gioco dell’etichetta è il miglior film attualmente in sala (ci vuole poco, ok, ma tant’è). Fine della recensione (davvero).

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