martedì 31 maggio 2011

Zack & Miri Make a Porno




Ci sono due tipi di porno. Uno è quello generalmente diretto al pubblico maschile, e non mi dilungo oltre in spiegazioni, l'altro è più subdolo, ed è quello riservato alle donne. La commedia sentimentale. Perchè? Ecco i cinque motivi per cui film hard e commedie sentimentali svolgono lo stesso ruolo - deviante - nella formazione della maturità sentimentale rispettivamente di uomini e donne: 

 1. generano un tipo di desiderio e di aspettativa completamente irrealistico nei confronti dell'altro sesso
 2. generano una certa repulsione negli esponenti del sesso a cui non sono indirizzati (che guardano, ma non lo ammetterebbero neanche sotto tortura)
 3. creano il falso mito del lieto fine (anche se in un caso è "happily ever after" e nell'altro "arrivederci e grazie" )
 4. si lasciano apprezzare particolarmente bene in home video e in compagnia di altri del proprio sesso
 5. necessitano spesso di k...... (e qui mi autocensuro, chi la vuole capire capisce)

Va detto che tale similitudine si applica solo alla valanga di filmacci di quarta categoria che riprendono lo schema consolidato da Harry ti Presento Sally, che ritengo, a scanso di equivoci, uno dei film più belli ed intelligenti mai scritti sul rapporto uomo - donna. Quando scrivo pornografia per donne mi riferisco a cose tipo Serendipity, Come farsi lasciare in dieci giorni, E alla fine arriva Polly, Un amore a Cinque Stelle, The Wedding Planner, Bridget Jones, 50 volte il primo bacio, Miss Detective, Amici Amanti e..., Amore e altri rimedi, Lo spaccacuori, Un giorno per caso, Se scappi ti sposo... Ci siamo capiti. Quante ne escono all'anno? Tante. Lo so perchè ringrazio ogni volta l'Universo di non avere accanto una persona che mi costringa a vederle tutte.

"Zack & Miri fanno un porno", questa è l'esatta traduzione del titolo che, per una volta, non è adattato malissimo (Amore a primo Sesso). Porno non si può dire, però. E' come "troia", bisogna dire escort. In alcuni casi, Signor Ministro.
Il film di Kevin Smith (Clerks, Dogma) arriva in pauroso ritardo sull'uscita originale (Smith ha fatto altri due film nel frattempo), e probabilmente farà poco al botteghino perchè chi lo voleva vedere l'ha già visto e non lo rivedrà al cinema doppiato male. Considerando che è una delle migliori variazioni sul tema della commedia sentimentale più o meno da Quattro Matrimoni e un funerale (1994), non trovo altri motivi per questo assurdo ostracismo che il titolo originale, che persino in America ha fatto parecchio rumore, al puntoche Kevin Smith ha dovuto modificare la locandina (la prima in alto) con altre due più caste (le due più piccole), ovviamente molto ironiche. A noi è toccata - miracolosamente - quella originale, tanto di questi tempi che vuoi che sia un'allusione al sesso orale su un poster...

Tornando al film, Zack (Seth Rogen) e Miri (Elizabeth Banks) sono amici dai tempi dell'università, vivono insieme e cercano di sbarcare il lunario. Con l'acqua alla gola per i debiti, decidono di girare un porno (di quelli per uomini, beninteso). Unico problema, dovranno fare sesso tra di loro e si sa, le cose potrebbero prendere una strana piega. Nonostante ciò, il film va in produzione... 

Indovinate come va a finire.

E' o non è la migliore variazione sul tema da vent'anni a questa parte? Il finale è sempre scontato, dunque le commedie sentimentali vanno valutate per i primi due atti della storia, ovvero su quanto riescano a creare una situazione interessante e a complicarla, possibilmente facendoci piacere i personaggi (consiglio: evitare Ralph Fiennes e Jennifer Lopez per i ruoli principali). Basta pensare, ancora, ad Harry ti presento Sally: non è certo il finale il punto forte o il motivo per cui il film ha avuto un tale successo ed una tale influenza sulle commedie successive. E' nella prima parte che  si gioca la partita con il pubblico.

Kevin Smith giustifica pienamente la sua incursione in un genere che si fa fatica a pensargli congeniale. Zack & Miri è una commedia sentimentale a tutti gli effetti, ma in salsa Clerks. Sboccata, irriverente, sempre in bilico tra genio e cattivo gusto, certamente unica, questa è una commedia un po' nerd, un po' indie, in cui tutti gli elementi tipici (il rapporto tra i protagonisti, la rottura del secondo atto, i personaggi comprimari, gli equivoci, il lieto fine, persino l'amico di colore saggio) sono rielaborati per essere inseriti in un contesto molto poco romantico, forse il meno romantico possibile. Sin dall'inizio è evidente a tutti fuorchè ai diretti interessati che Zack e Miri sono fatti per stare insieme - se non altro per sopraggiunta identità di stile di vita. E' da subito che questi due adorabili sfigati non hanno alto che il loro rapporto, ma sono troppo incasinati per capirne la portata. 
Seth Rogen è bravissimo, è il cuore del film: il suo Zack è il motore di tutti gli eventi ed è il personaggio a cui vogliamo che le cose vadano bene. Elizabeth Banks ha un personaggio atipico (ma perfetto in un film di Smith), maschiaccio e poco romantico che diventa adorabile nel giro di cinque minuti (basta che sorrida, d'altra parte).  Jennifer Lopez e Jennifer Aniston di solito le vuoi prendere a sprangate fin dal poster. Non parliamo se per sbaglio vedi il film. E' questo il punto di forza in Zack & Miri: dietro la valanga di volgarità, implicite nel contesto o aggiunte gratuitamente da Smith, c'è una storia con un cuore, finalmente. Invece di avere principi azzurri, architetti, PR, stiliste, giornalisti e tutti quei lavori da commedia sentimentale che fanno puzzare di fregatura il film sin dal trailer, ci sono due personaggi che vivono il dramma della precarietà e della mancanza di prospettive del mondo di oggi e lo risolvono in maniera originale e creativa.


Intorno alla coppia centrale, i dioscuri di Kevin Smith  Jason Mewes e Jeff Anderson sono la garanzia che pur non essendo il film ambientato nel View Askewniverse (ovvero l'universo fittizio in cui molti dei film di Smith si svolgono),  siamo in una dimensione parallela non troppo lontana.

Ribaltando tutti i topoi del genere con il suo talento, Kevin Smith ha dato dunque una mano di vernice ad un genere morto e sepolto da anni. Zack & Miri non apre nuove strade, essendo strutturato esattamente sullo schema classico della rom-com: è l'estremo opposto di Harry ti presento Sally (prototipo insuperabile) ed una perfetta chiusura del cerchio per chi aspettava da anni un'ultima, ottima, commedia romantica vera.

lunedì 30 maggio 2011

The Tree of Life

"Unless you love, your life will flash by"

Difficile tradurre in parole l’esperienza di The Tree of Life senza banalizzarne la portata. The Tree of Life non è un film da capi’ , come ha sentenziato la nostra vicina di posti, annoiata e perplessa alla fine della proiezione (le modalità di scelta dei film da parte del persone di estrazione culturale medio bassa dovrebbero essere studiate attentamente): c’è poco da capire.

Bisogna semplicemente accoglierlo, tentare di immergersi nella riflessione universale che Terrence Malick affida ad un trionfo di musica ed immagini che ricorda inevitabilmente 2001 Odissea nello Spazio. The Tree of Life ci obbliga a rallentare: i tempi della narrazione sono dilatati, negati, manipolati affinchè non ci sia linearità: la trama – esile – scompare, senza che se ne senta la mancanza, sostituita da un flusso di coscienza che ruota intorno ai grandi interrogativi dell’esistenza umana: perché siamo qui, cosa forma la nostra coscienza, che ruolo hanno il dolore e il suo ricordo nella nostra percezione della realtà, quanto di divino ci sia in noi e quanto fuori di noi. Presumere di avere una risposta significa essere in grado anche di articolarla in un discorso, o in un film. Malick invece, da grandissimo regista, riesce a riportare l’attenzione sulla domanda. Non cercate la risposta in The Tree of Life, perché sfuggirà ogni volta che sembrerà trovata (nella Bibbia? Nella scienza? Nell’accettazione? Nell’amore?).

Malick ci ha regalato un’opera che è un manifesto della specie umana, un riassunto di dove siamo ora, figli di una storia personale ed universale che ci attraversa e ci modifica in uguali proporzioni, anche se non ne siamo consapevoli. L’idea che avevo, osservando alcune scene, era che The Tree of Life potrebbe essere inviato nello spazio come descrizione di quello che siamo, a livello sociale, artistico e naturale. In allegato, avrei inviato anche la nostra vicina di posto, ma più che altro per levarmela dai coglioni.
Il film è un invito a fermarsi ed a pensarsi in maniera universale, un viaggio nella coscienza alla ricerca di un modo positivo (non deterministico, non fatalistico, non rinunciatario) di affrontare i propri conflitti e le contraddizioni della vita, per trovare un posto nel mondo. Chi non ha già una propria risposta definitiva in merito, sicuramente apprezzerà (di più degli altri?) il tentativo, assolutamente convincente, di Malick di dare una forma a degli interrogativi che generalmente è difficile esprimere a parole.

Più di Sean Penn, che è poco più di un’incisiva comparsa, risaltano le performance di Brad Pitt, padre autoritario e Jessica Chastain, madre compassionevole, poli opposti dell’amore familiare, catalizzatori delle forze che danno equilibrio alla nostra natura umana, che riescono a risaltare pur nel tessuto poco lineare che Malick costruisce intorno alla vicenda centrale della famiglia. Non è un film di personaggi e conflitti, però: le vicende umane -filtrate da un montaggio che le assimila a ricordi lontani più che a veri spazi di narrazione oggettiva - sono un elemento che si pone sullo stesso piano delle sequenze naturalistiche o della colonna sonora: sono solo un elemento del tutto, una delle vie d’accesso ai tanti punti interrogativi che dovrebbero restare nella nostra testa alla fine del film.

The Tree of Life è un film per pochi ma buoni: un capolavoro di regia, commento sonoro, montaggio e profondità, che non offre chiavi di lettura immediate o superficiali, che richiede di essere accolto ed elaborato nel buio di una sala e non nella penombra di un salotto. La potenza delle immagini e la suggestività delle musiche passa anche per la dimensioni degli impianti, questo più di tanti altri è un film da cinema, anche se ne ripudia tutti gli aspetti commerciali.

Direi film dell’anno, ma fatico a definirlo film.

lunedì 23 maggio 2011

Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del Mare



Premessa

Con Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare è stata inaugurata a Pioltello la prima sala IMAX digitale italiana, con gran copertura giornalistica e squilli di tromba.


Con Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare, ieri ho scoperto che i multisala del gruppo UGC sono stati acquistati dal gruppo UCI. Pessima notizia per gli amanti del cinema: il multisala UCI di viale Marconi è uno dei più tristi di Roma. Bassa qualità della proiezione e sale per niente confortevoli. Tanto per far capire che il vento è cambiato, hanno reintrodotto un lunghissimo intervallo a metà proiezione, con tanto di carrello con bomboniere e cornetti.
Su cui si sono fiondati praticamente tutti gli spettatori, evidentemente non sazi di quello che si erano già portati in sala all'inizio.
Che poi a Roma già è raro che si assista in silenzio alla proiezione, l'intervallo non fa che peggiorare le cose, visto che quando riprende il film stanno ancora tutti o scartando il gelato o sono in piedi, o continuano il discorso che stanno facendo per altri dieci minuti, ci manca solo che chiedano di abbassare il volume.
Lodevoli rassegne ed iniziative cinefile sono ormai un lontano ricordo. Porta di Roma, Roma Est e Parco Leonardo, altri tre cinema in meno da frequentare.

Tutto è collegato. Perchè anche la sala di Pioltello è gestita dal gruppo UCI (e quindi nel giro di pochi mesi farà schifo). E non è un vero IMAX, ma quello che viene chiamato ironicamente LieMAX: un sistema digitale di proiezione su schermo poco più grande del normale, ma niente a che vedere con gli schermi ciclopici con cui IMAX si è fatta conoscere ed apprezzare nel mondo. Insomma, la gita a Milano mi sa che me la risparmio.

La Premessa è finita, andate in pace


Dette le cose importanti, veniamo al film. Jack Sparrow è uno dei migliori personaggi cinematografici degli ultimi vent'anni. Senza di lui, ci sarebbe stato un solo Pirati dei Caraibi, forse non migliore di tanti altri kolossal mediocri della Disney tipo La Casa Stregata o L'apprendista Stregone.

Il franchise dei Pirati è una specie di secchio in cui buttare e rimescolare tutte i topos della letteratura marina: dai bucanieri al Kraken, dalle Sirene al voodoo, dall'Olandese Volante alla Fonte dell'Eterna Giovinezza. Spunterà anche la Balena Bianca, prima o poi. Non tutto funziona, o comunque ci vuole mestiere (vero, Vinicio?). La leggerezza è un'arma a doppio taglio, la solidità della sceneggiatura e una giusta visione a livello di regia non sono optional, neanche se hai Johnny Depp con la sua migliore intuizione.

Avevamo lasciato Jack Sparrow, pardon, il Capitano Jack Sparrow con una mappa che indicava la Fonte dell'Eterna Giovinezza alla fine della trilogia precedente. In questo quarto capitolo, della Fonte interessa un po' a tutti (il Pirata Barbanera, il Re di Spagna, il re d'Inghilterra), tranne che a Jack. Ovviamente, in un modo o nell'altro, si ritrova ad essere coinvolto. Eccetera eccetera Penelope Cruz eccetera eccetera.

Al posto di Orlando Bloom e Scucchia Knightley, ci sono un prete allupato (ma guarda un po') e una sirena, che vincono la palma di personaggi più insulsi del decennio. Ogni volta che sono in scena, il film si arresta, rallenta e si spera che rientri in scena Jack o chiunque altro fuorchè loro due.
Non che gli altri personaggi siano più interessanti: Ian McShane è un egregio Barbanera, ma è molto meno carismatico del Barbossa di Geoffrey Rush e non regge come villain. Penelope Cruz è un'aggiunta dovuta ad un cast privato della Scucchiona, ma non ne riprende il peso specifico nella storia, principalmente perchè la sceneggiatura fa più acqua di una nave presa a cannonate ed ogni scena è solo un pretesto per far fare o dire qualcosa di inaspettato a Jack Sparrow. Cosa che, scena per scena, funziona, ma fa sì che il film non sia altro che una serie di siparietti che nella trilogia precedente (inutile per due terzi anch'essa) avrebbero trovato spazio sul dvd, tra le scene tagliate. Il climax del film è confuso e poco emozionante, anzi: il film rallenta progressivamente fino a spegnersi del tutto, dopo un'inizio discreto. Risultato: noia mortale. 

Il problema è che la regia compassata di Rob Marshall (Nine, tra i peggiori film dell'anno scorso), che ha sostituito Gore Verbinski (Rango, tra i migliori film di quest'anno) affossa il passo di un film che dovrebbe vivere di scene epiche e combattimenti, di arrembaggi ed assalti. L'unica volta che due navi si incrociano, si ignorano. L'unica battaglia in mare, tra l'altro importante, viene solo raccontata. Assurdo. Johnny Depp e le musiche di Hans Zimmer sono le cose migliori del film. Ma erano originali (e meglio utilizzate) tre film fa.

Jack Sparrow ritiene che l'immortalità si possa raggiungere anche in altro modo che bevendo alla Fonte. Lo ritengo anche io. Jack Sparrow è già immortale: lasciatelo stare. Se non ci sono storie alla sua altezza, non rovinatelo. Se non ci sono comprimari in grado di farne risaltare l'eccentricità offrendo una gamma di valori solidi da opporre alla sua morale barcollante come la sua andatura ed ambigua come la sua sessualità, lasciate perdere. Preti allupati? Piratesse innamorate? Per favore. Possibile che alla Disney non si possa fare di meglio? Insomma, risultato deludente, regia pessima e sceneggiatura ridicola: il franchise è finito, ma visti gli incassi, continuerà per tutti quelli a cui piace l'intervallo così possono fare il refill di coca e pop corn. Salvate il soldato Sparrow.

Non avrei mai pensato che mi sarebbe mancata Keira Knightley.


P.S. per sfogare la frustrazione dovuta al passaggio da UGC ad UCI e la sorpresa dell'intervallo, non ho trovato di meglio da fare che prendermela con un infante con un braccio rotto seduto al mio fianco. Ho sperato che facesse casino per potergli dire di tacere pena la frattura dell'altro braccio, ma poi l'ho soltanto azzittito bruscamente quando ha cominciato a parlare. Me sto a rammolli'.

mercoledì 18 maggio 2011

Seconda Visione: Senza arte nè parte (by Maestro Jedi MagicJ)


Poichè Not In Kansas è un sito democratico chee vuole sempre migliorarsi, da oggi parte una nuova rubrica: Seconda Visione. Grazie all'aiuto di valenti - ma altrettanto severi - amici, ogni tanto ci sarà qualche recensione doppia, ovviamente con punti di vista differenti dal mio. Che resta, ovviamente, quello giusto.

Ecco la recensione di Senza arte nè parte, a cura del Maestro Jedi MagicJ.

Premessa: mi capita spesso ultimamente per motivi che non credo vi interessino più di tanto di frequentare la multisala di Ostia Cineland. Se non mi sbaglio, è stata la prima multisala “moderna” costruita a Roma, di quelle con negozi, bar e ristoranti allegati. Sorvolo sul valore intrinseco dei negozi, per esempio ce ne è uno che vende vestiti da cerimonia per matrimoni che visto il taglio e il gusto è riferito al target da festa nuziale a Las Vegas con sosia di Elvis che officia, anche se Roberta un capetto da soli 350 euri ce lo avevo pure trovato…ma questa è un’altra storia; oppure il negozio di dischi e dvd che ha il meglio (?) della produzione italiana e non, e che ha in una zona del suddetto locale un cartello con scritto non toccare gli occhiali in esposizione ….forse prima c’era un ottico…
Un giorno parlando con alcuni giovani ventenni locali ho detto che questa multisala fa schifo, intendendo ovviamente il valore intrinseco del cinema…schermi posti ecc….e loro mi hanno risposto: “ma no, è bellissimo…ci sta anche er Mac ….

Tutto questo per dire che già andare lì non mi ha messo nelle migliori condizioni per valutare un film italiano di quelli che vanno tanto ora, tipo ci sta il solito gruppo di attori….facciamo finta di essere simpatici e intelligenti….un po’ di dialetto….il solito extracomunitario (ora va per la maggiore Hassani Shapi, da non confondere con il cantante anni 80 con una l in più, e che scopro ora aver anche partecipato all’Episodio 1 di Star Wars), la vecchietta rinco di turno, lo stereotipo della checca checchissima, la presenza di un reduce a caso di Boris (questo giro il mitico Duccio, alias Ninni Bruschetta),… ecc ecc..

A questo c’è da aggiungere che un film ambientato nel Salento ha come protagonisti un napoletano e uno di Trento, che il pakistano parla come Aziz, il cameriere di colore di casa Zampetti della mitica “I ragazzi della terza C”, che Donatella Finocchiaro è sì cagna come vuole la nouvelle vague del cinema italiano, ma non abbastanza bona per giustificare la propria presenza, che la storia che gira su dei simpatici e impacciati falsari è vecchia come il cucco (vedi per esempio “La banda degli onesti” con Totò e Peppino), che tutto si regge sul gioco dello scambio di opere d’arte vere con false, uno scambio che avviene sulla fiducia dei compratori, che non chiedono mai un documento di accompagnamento che attesti l’originalità dell’oggetto, ma si fidano solo di foto e immagini da catalogo (ma qui mi si obietterà che anche il suddetto Totò vendeva la Fontana di Trevi ad uno sprovveduto americano, ma forse erano altri tempi e comunque non è questa la cosa più grave del film), con battute che anticipi già ai titoli di testa, e che comunque sono talmente ovvie che non ridi mai…e sottolineo mai (poi capirete perché).

Ecco appunto, prima di partire per la tangente dicevo che già non ero di buon cipiglio….poi sono entrato in sala, e visto che questo passa per un film pseudointelligenteitaliano, mi felicito di non essere circondato dai soliti bori, forse tutti nelle altre 3…dico 3…sale dedicate a Fast & Furious Ennesimo e quindi mi siedo vicino a 2 simpatiche signore di mezza età, e mi accorgo anche che intorno a me ci sono solo signori/e della “borghesia buona” lidense.

Così, ritrovata l’armonia con il mio prossimo, parte il film…..Ecco lo sapevo….anche questa volta fuori sincro l’audio….ma porca pupazzetta….sempre così qui….è già la terza volta…ma il proiezionista è della lega del filo d’oro???? Poi capirete, le battute le capisci un’ora prima che le dicano, qui l’ora diventano due rispetto al labiale….si esagera!!!!

Poi purtroppo dietro di me il signore sulla cinquantina contornato da babbione per far capire a tutte che ha abbastanza pastiglie blu per tutte per il dopo cinema, inizia a spiegare tutte le battute, che come avrete capito, arrivano un’ora prima dell’audio in quanto a sorpresa, e due in quanto a immagine e tre in quanto a spiegazione ovvia dell’arrapato e arzillo vecchio.

Vi ripeto non ho riso mai, forse un paio di volte sorriso, và, mentre le due signore di prima si sono sganasciate per tutto il film, anche in punti in cui indubbiamente (ed ho chiesto conferma a Roberta vicino a me) non c’era niente da ridere: tipo quando i protagonisti escono da una porta con la copia di un’opera formata da scopettoni da cesso falsa, e rientrano con la stessa, però vera….insomma…ma che c’è da ridere (l’ho ripetuto più volte ma nessuno mi ha risposto).

A metà film è partito anche il fuoco dell’immagine! E no!!!!! Ho incominciato a contorcermi e a sentirmi male, ho accusato la lunghezza del film come manco a AI, tanto che la povera Roby continuava a carezzarmi la cervice dicendomi: “dai non fare così, non ci veniamo più in questo cinema”, il tutto senza speranza di risolvere il mio dolore che da interiore diventava anche esteriore.

Poi Nostro Signore della Celluloide decide di farla finita co sta schifezza e le luci si accendono, io penso di essere sopravvissuto all’olocausto e da dietro sento l’emulo del berlusca: ”Che poi….Fontana….è un artista esistito davvero!!!”
Ecco su questa dotta spiegazione, a cui le babbione avranno pensato beh, magari non gli si rizza…ma che cultura!!!, io a fatica mi sono alzato, sono tornato a casa e per punirmi di aver speso così 2 tra le ore più brutte della mia esistenza, mi sono terminato con l’Eurofestival presentato da una ovviamente ubriaca Raffaella Carrà.

PS: Che poi….anche Carrà (Carlo)….è un artista esistito davvero….

Postfazione: CINELAND è stato il primo multisala gigante di Roma. Per fargli spazio, chiusero i gloriosi cinema della mia infanzia, il Sisto ed il Superga di Ostia (sennò chi cacchio ci arrivava al Cineland?). Due sale schifose, detto tra noi. Cineland aprì col botto, con l'anteprima (mondiale??) di Star Wars Episodio I. Per i primi anni, era possibile evitare la fauna locale grazie a particolari sconti che venivano applicati durante la settimana. Non durò a lungo. La presenza contemporanea di un'enorme sala giochi e del McDonald hanno presto attirato al cinema un pubblico poco interessato e poco educato, incline più a dare spettacolo che ad assistervi. Stesso problema di cui ha sofferto prima l'UGC Parco Leonardo ed ora, drammaticamente, il The Space a Parco de'Medici. A questo, aggiungere un parcheggio a pagamento NON custodito, ma gestito da un reduce della Banda della Magliana, ed una squallida serie di negozietti che negli anni sono peggiorati progressivamente fino alla configurazione attuale che potete leggere nelle recensione.
 
Non da meno le proiezioni: luci che si accendono, film che saltano, titoli di coda sempre a luce accesa anche quando c'era sempre qualcosa da vedere (errori ecc). Il Ritorno del Re venne addirittura tagliato in coda: dei tre finali, ne proiettarono uno solo. Così.L'ultima volta che ci sono andato ho litigato con una che durante La Marcia dei Pinguini non poteva non far sapere a tutta la sala che "Amo', sembri tu". Per me, sto cinema non esisterebbe neanche se chiudessero tutti gli altri cinema di Roma.
 
Consiglio: evitatelo come, che ne so,  quei parenti che vi si vogliono presentare a casa di sabato pomeriggio, quelle cene con i vecchi compagni di classe, i filmini dei matrimoni altrui e cose così. Vi ho avvisato (come avevo avvisato pure il Maestro....)

sabato 14 maggio 2011

Senza arte nè parte


Ah, l'annosa questione dell'arte contemporanea. E' arte un taglio in una tela? Eh, no signora mia, che ci vuole a farlo. Lo Poteva Fare Anche Lei? Lo Può Fare Chiunque? Addirittura.
Signora mia, invece di pontificare rendendo manifesta la sua crassa ignoranza, perchè non va nell'altra sala, che c'è Monet? Eh, l'Impressionismo è sempre l'Impressionismo. Se ti metti ad una certa distanza sembra una fotografia. E' Bello, Sembra Vero. Su, circolare, signora, non è che se piega la testa lo capisce meglio. C'è già suo marito con la macchina fotografica che le vuole fare la foto accanto a quel Manet. O forse era Monet. Eh già, signora, a Roma è così, tre ore in fila alle scuderie del Quirinale per vedere Caravaggio. E che c'è meglio di Caravaggio? Lo ha visto al TG1 ieri, eh? Come gli altri ottomila in fila. E che fa, non ci va? Quella del piano di sotto ci è andata e ha detto che è una bellissima mostra, però, che fila! Poi per carità, andare a San Luigi de' Francesi invece non le passa neanche per la testa, vero? Che poi tutto 'sto sangue, 'sto buio. Bello, eh, ma le foto vengono sempre scure, mica come con Monet, quei colori, quei paesaggi.  Sì però non si distragga. Lo ha tolto il flash? Altrimenti arriva il custode. E in più c'è il riflesso sul vetro. E facciamone un'altra per sicurezza. Vicino a quello viola di Monet. O forse era Manet. Non mi ricordo mai.


Ma sa perchè si fanno tre ore di fila, signora mia? Primo perchè lei, che ogni due anni viene con suo marito a sparare cazzate davanti alle opere di Caravaggio (o di Monet), si pianta un metro dopo l'ingresso a leggere la biografia. Che è sempre quella, e pure corta, da almeno quattrocento anni. PERO' OGNI VOLTA TE LA DEVI RILEGGERE. Mi scusi il tu, è stata la foga. E certo, undici euro sono ventiduemilalire: si legge la biografia e anche qualcosa di straforo al bookshop. Mica gliene può dare altri cinque per l'audioguida. Li pagassero gli stranieri, tutti quei soldi, che già vedono gratis il Colosseo. Secondo, perchè dopo aver stazionato per dieci minuti davanti ad un'opera e averla immancabilmente catalogata nelle uniche due categorie possibili, ovvero BELLO SEMBRA VERO e BRUTTO, decide di mettersi in posa mentre suo marito aziona la kodak usa e getta.

...le suggerirei di andare al cinema, se non fosse peggio. Perchè al cinema, spesso, ci sono io. E lei compra sempre il posto dietro il mio, qualunque sia il cinema. E spara le stesse cazzate, ma adattate al film. E' arte contemporanea anche questa, avere sempre la cazzata pronta e adatta all'occasione. Instant Art. Atto creativo. E non lo possono mica fare tutti.


P.S. sul film non c'è molto da dire. E' divertente, originale, una banda degli onesti versione Arte Contemporanea, con un cast affiatato e assemblato in maniera intelligente. Un piacevole intermezzo prima di essere travolti dalle palle di Cannes e dai Pirati dei Caraibi.

Quarto Potere

Uno vorrebbe parlare di cinema sempre. Perchè vorrebbe dire avere la testa sgombra da altri cattivi pensieri, la vita senza problemi, la casa senza scarafaggi.
E invece, gli scarafaggi escono, anche se i condomini fanno finta di niente e l'amministratore allarga le braccia.

Qualche tempo fa è stato perpetrata una truffa milionaria ai danni di alcuni personaggi più o meno noti di Roma. Tag mediatico: truffa dei Parioli. Nome più spendibile: Sabina Guzzanti, che -va detto - non ci ha fatto una gran figura. Pecunia non olet, e a furia di criticare Berlusconi, Sabina deve aver pensato che un po' di soldi facili li poteva fare anche lei. Cavoli suoi, tanto più che ci ha rimesso.
Questo è l'articolo di Fabrizio Roncone, dal Corriere della Sera.


Se questo è giornalismo, io sono Pulitzer. Primo, riportare in questo modo becero una telefonata non mi pare il massimo della professionalità. Secondo, un giudizio come quello in calce vale più di mille parole. O Roncone serba rancore, o è pagato per dare addosso a certi scomodi personaggi o è un poveraccio. O aspira al TG1.
Però, vai a capire cosa c'è dietro, magari la Guzzanti è stata talmente acida da meritarsi la smerdata pubblica. Avevo segnalato questa pessima caduta di stile (di entrambe le parti in causa), perchè mi aveva dato particolarmente fastidio.

Seconda occasione: intervista (ancora al telefono) a Beppe Grillo, che ha dato del buson a Nichi  Vendola. Grillo è discutibile, per carità. Ma Roncone ci ricasca pari pari. Serba rancore? Ha voglia di diventare famoso? E' questo lo standard di giornalismo che il Corriere della Sera vuole far pagare a chi compra il giornale?


Mi chiedo: l'ho notato solo io? No di certo. E infatti basta googlare Roncone (sarà soddisfatto?) per incappare nella terza prova: il blog di Giulia Innocenzi, che spiega, giustamente imbufalita, il metodo Roncone: registrazione telefonica, taglia e cuci, copia e incolla, aggiunta di interiezioni che facciano cambiare senso alla domanda ed alla risposta e via con l'intervista che diventa un'altra cosa.


Le macerie in fiamme alla fine de Il Caimano sono queste. Ci siamo già dentro, la puzza non la sentiamo neanche più, abituati poco a poco a toni che invece di alzarsi, si abbassano, fino a strisciare, a schiacciarsi come uno scarafaggio tra un battiscopa ed un muro, pronto ad uscire quando meno te lo aspetti.
Tanto magari non ci fai caso. Magari non lo vedi, o pensi sia un caso isolato. Non hai tempo di preoccuparti se sia acida la guzzanti o infame Roncone. Se sia un problema di condominio o quello scarafaggio sia un viandante solitario. Hai solo quella sensazione di sporco addosso. Ma in mente non rimane il nome di Roncone, rimane quello della Guzzanti. Con un po' di merda addosso.
Non sto difendendo Grillo e la Guzzanti, nè accusando Roncone di essere di quella parte di destra deputata a screditare chi attacca il Re. Ecco lo stesso metodo applicato in occasione del pasticcio combinato per le elezioni della regione Lazio:


Sperare che Berlusconi sia arrestato per risolvere la situazione in Italia è come sperare di liberarsi degli scarafaggi cambiando amministratore di condominio. Difendere la libertà di stampa per darla in mano a gente come Roncone ti fa rimpiangere di esserti mai posto il problema.
Non è una questione di principio: Roncone lavora al Corriere della Sera, il più importante e diffuso quotidiano italiano. (che io non riterrò più affidabile d'ora in avanti) Lavora: prende i soldi che tanti aspiranti giornalisti non potranno prendere finchè Roncone non diventa direttore del TG1. E che nel frattempo magari si saranno arresi ad essere il prossimo Roncone, perchè devono mangiare anche loro.

Più mi guardo intorno, più mi cadono le braccia: la discussione è se la Guzzanti faccia cose di sinistra o se Grillo sia un invasato. Invece dovrebbe essere su come sia possibile che c'è una linea immaginaria al di sotto della quale l'indignazione è sinonimo di impotenza ed un'altra al di sopra della quale la mancanza di dignità fa rima con potere sfacciato. E di come, peggio di tutto,che nel sottile spazio tra le due, come tra un muro ed un battiscopa, si annidino gli scarafaggi tipo Roncone che fanno da cuscinetto tra le due zone impedendo di fatto il cambiamento.



Quando arriva la disinfestazione?

martedì 10 maggio 2011

Machete


"Machete non manda messaggi"

Robert Rodriguez e Quentin Tarantino hanno capito una cosa fondamentale: alle persone piacciono le ripetizioni o, come si diceva al tempo di Omero, le formule. Non c’è maggior gioia per un cinefilo di quella che prova nel cogliere una citazione, magari un riferimento ad un oscuro film di serie B visto per caso una sera d’estate: è al contempo la misura della propria cultura cinematografica e il segno di una corrispondenza implicita di amorosi sensi con il regista. Le nuove generazioni, invece, quelle senza memoria né curiosità, possono godere delle ripetizioni come fossero elementi originali. Il gioco è fatto.

Tarantino, va detto, ha più stile di Rodriguez. La Sposa usava come arma una raffinata katana, forgiata da un maestro. Machete…beh, lo dice la parola stessa. La differenza è tutta qui, ma non è trascurabile. Machete è divertente, fin dai titoli di testa richiama una cinematografia senza pretese artistiche (exploitation, direbbe uno colto), di quelle che oggi va tanto di moda sdoganare. Con Tarantino, oltre ad una fase di scrittura decisamente più raffinata, c’è tutto un livello metacinematografico da gustare, quello appunto dei rimandi e delle citazioni,che manca al cinema di Robert Rodriguez. La scelta di non infondere il film di elementi estranei al genere (ovvero ciò di cui Quentin Tarantino è maestro), che enfatizzino il fatto che è tutto un grande gioco di fumo e specchi, fa perdere un po' di punti al risultato finale. Machete nasce dal finto trailer realizzato per Grindhouse, ma il gioco che funziona perfettamente se dura lo spazio di pochi minuti perde colpi sulla media distanza di un lungometraggio. L'idea di Machete è migliore della sua realizzazione: è una prerogativa dei grandi film di serie B, o forse solo un difetto di questo film, difficile distinguere dove finisce la finzione e dove cominciano i limiti, in una parodia/citazione/rielaborazione di questo livello.

Quella del rinnegato Messicano che sfida i corrotti americani e si pone alla testa di una piccola rivoluzione è la classica storia dell’eroe riluttante, terribile d’aspetto ma bello e nobile dentro, sconfitto dalla vita ma pronto ad una rivincita che diventa quella di un intero popolo. Il tono del film rimane comunque in bilico, tra parodia ed epica mariachi, basta pensare a qualunque scena con Lindsay Lohan o anche alla divisa di Michelle Rodriguez nello scontro finale. I cattivi sono tutti cattivissimi ed i buoni sono tutti buonissimi, al massimo un po’ burberi: siamo più dalle parti di Bud Spencer che da quelle di Clint Eastwood, come mostra efficacemente la scena in cui Machete vince un combattimento clandestino mangiando un taco.

Il volto terrificante e nobile di Danny Trejo fa metà del film. La restante metà è affidata ad un mix di attori i cui nomi rendono l’idea dell’appeal di Rodriguez (che va oltre i suoi effettivi meriti): Robert DeNiro, Michelle Rodriguez, Jessica Alba, Lindsey Lohan più i redivivi Don Johnson, che si mantiene bene e Steven Seagal, che deve aver ingoiato McGyver e VanDamme senza masticarli. La storia non è che un pretesto per mettere un coltello in mano a Machete (che è il buono della situazione, sia chiaro) e cominciare qualche sbudellamento. Basta essere pronti, basta saperlo e ci si diverte davvero.



giovedì 5 maggio 2011

STAR WARS HD Countdown - 128 * : People vs. George Lucas vs. Nostri Portafogli

* il conteggio non è coerente con i precedenti, lo so: ma la data di uscita italiana è stata ufficializzata solo ieri e sarà il 15 settembre 2011. 

Ieri, 4 maggio, sono stati ufficializzati i contenuti ed il bruttissimo artwork del cofanetto blu ray da 9 dischi che uscirà a settembre. E già si sono incazzati tutti, perchè quel testone di Lucas ha estromesso le edizioni originali di Star Wars (rinnegandole definitivamente), e soltanto le edizioni speciali - o meglio, la seconda versione di tali edizioni, quella uscita in DVD, sarnno incluse ( alla fine de Il Ritorno dello Jedi, ci sarà Hayden Christensen e non Sebastian Shaw, ainoi). Personalmente, scommetto in qualche ulteriore "colpo di scalpello", si vedrà. La lista dei cambiamenti apportati nel corso degli anni è lunghissima e notevole, al punto da meritare una pagina Wikipedia....



Inoltre, i contenuti speciali non includeranno tutti quelli già usciti con i dvd, anche se ci saranno ore di materiale inedito. Insomma: c'è da conservare anche i dvd, i laser disc, le VHS. 

 "In the future it will become easier for old negatives to become lost and be 'replaced' by new altered negatives. This would be a great loss to our society. Our cultural history must not be allowed to be rewritten."  (1988, GEORGE LUCAS, parlando della colorizzazione dei film in bianco e nero)

Evidentemente, il passaggio al Lato Oscuro deve essere avvenuto dopo. Il dibattito è accesissimo e aperto, è come con le scuole di pensiero sul restauro. Manzoni scrisse per vent'anni I Promessi Sposi (senza essere un genio del marketing, però), perchè George Lucas non può fare lo stesso con Star Wars? In linea teorica, lui è l'autore ed ha tutto il diritto di modificare la sua opera. In pratica, la versione seminale di Star Wars, quella entrata nella cultura pop, è la prima e non l'ultima (a differenza de I Promessi Sposi), la quale però meglio si adatta, dal punto di vista estetico, a comporre l'esalogia con i capitoli I-III, ed il trailer del Blu-Ray lo conferma senza mezzi termini.

Lucas afferma che Star Wars, nella sua testa dura, doveva essere come appaiono le versioni speciali, non gli originali. Se però Michelangelo oggi volesse ritoccare la Cappella Sistina, mettendoci dei colori fluo o ammodernando le vesti, glielo consentirebbero? Probabilmente no, ma la Cappella Sistina non è riproducibile come Star Wars, copiando un file. Il suo valore è anche nel suo essere un manufatto unico, cosa che non può dirsi dei film. Il valore di Star Wars allora dov'è, al di là dell'impatto culturale? Se non è nel suo aspetto, ma nella sua sostanza, perchè Lucas non può migliorare l'aspetto grafico? I cambiamenti alla sceneggiatura sono talmente risibili (Han spara dopo? e vabbè, tanto sempre lo voleva ammazzare...) che si possono sopportare, in cambio di effetti speciale allo stato dell'arte. A parte Hayden Christensen, quello no. Quella è una cazzata, Giorgì. Come gli alieni in Indiana Jones e lo spazio tra gli spazi (o quel che era...).

Ciò detto, l'eredità culturale va preservata e la trilogia originale di Star Wars, seppur distante dalla visione del suo autore, rinnegata ed artigianale, è un documento di storia del cinema preziosissimo, perchè c'è un prima e un dopo quel Star Wars. Sul mio impianto HD, voglio vedere e sentire i film al massimo. Ma se voglio studiare ed approfondire la storia del cinema, ho bisogno del documento originale. Non vedo contraddizioni in ciò. Ha ragione dunque Lucas, a voler vedere la sua opera esteticamente all'altezza di tutte le altre  moderne, scarse imitazioni molto spesso proprio di Star Wars, che si reggono esclusivamente sugli effetti speciali della stessa ILM. Ha ragione chi pretende la storia della cultura non sia riscritta. Cioè, sempre Lucas.

I nerd, invece, hanno torto a prescindere (vedere a tal proposito People vs. George Lucas).

lunedì 2 maggio 2011

Source Code



"Meccanica quantistica, calcolo parabolico"


Il capitano Colter Stevens (Jake Gyllenhal) si sveglia su un treno, salutato da una ragazza (Michelle Monaghan) che lo chiama Sean. Dopo otto minuti, il treno salta per aria uccidendo tutti. Risvegliatosi dentro una strana capsula, Colter scopre di essere parte di un  misterioso programma militare, senza ricordare di avervi mai preso parte: la sua missione è quella di rivivere gli otto minuti finali della vita di una persona rimasta vittima di un attentato su un treno di pendolari e scoprire il colpevole per scongiurare futuri attentati.
Non può modificare quanto già avvenuto, perchè gli otto minuti sono soltanto una simulazione prodotta da un elaborato software, il Source Code, al quale la sua coscienza è collegata: tutto quello che può fare è fornire indizi che aiutino i militari a scongiurare altri attacchi. La reticenza degli ufficiali con i quali dialoga tra una sessione e l'altra riguardo il mistero della sua presenza nel Source Code e i sentimenti che nascono nei confronti della ragazza lo spingono verso una terribile verità e un ultimo disperato tentativo di sfuggire al destino.

Sotto una sceneggiatura semplice (a meno di essere in sala con me al King, dove i numerosi - ma educati -  spettatori sopra la cinquantina hanno lasciato la sala disorientati e confusi da un finale improvvisamente più complesso) si celano temi che Duncan Jones aveva già proposto in Moon. Il valore della vita umana - contrapposto a derive poco etiche della scienza - è al centro di Source Code come di Moon, al punto che persino scoprire che la vita che si vive sia in un certo senso finta, artificiale, funzionale ad uno scopo, ridotta quasi ad uno strumento nelle mani di qualcun altro, non ne compromette la dignità. Colter Stevens vive una realtà simulata, ma che è l'unica che può percepire ed in cui i sentimenti che prova sono reali. Ha senso lottare sapendo che finirà tutto all'improvviso, che è tutto destinato a scomparire, che alcune cose non si possono cambiare? L'allegoria è evidente, ma Duncan Jones  non ha certo voglia di discutere di questioni filosofiche: la risposta alla domanda è tutta nelle (re)azioni del capitano Stevens.

Se si deve per forza cercare il pelo nell'uovo, Source Code paga - come Moon, d'altra parte - una risoluzione dei misteri iniziali quasi frettolosa e priva di un vero e proprio climax. Inoltre, il concetto stesso di Source Code è essenzialmente poco credibile: come può la traccia mentale di una persona sola essere il punto d'accesso - affidabile - a tutta la realtà intorno? La questione, non essendo purtroppo sviscerata nel film come ad esempio in Minority Report, in cui si questionava la liceità di arrestare le persone basandosi su previsioni di reati, potrebbe essere catalogata come un piccolo difetto di sceneggiatura. Difetto del tutto trascurabile, perchè Source Code è un film di fantascienza vero, basato sui (pochi ma buoni) personaggi ed in cui il progresso scientifico è un volano per discutere gli aspetti fondamentali dell'umanità, intesa come categoria morale. 

La cinematografia del figlio di Ziggy Stardust per il momento sta recuperando una fantascienza dal gusto retro che si stava un po' perdendo nel tempo, e che sposta di nuovo ed in maniera decisa l'attenzione dagli effetti speciali al protagonista (non a caso, in entrambi i film, c'è un unico ruolo predominante), archetipo dell'uomo moderno, che si trova costantemente a lottare per affermare il proprio diritto alla felicità ed all'indipendenza dai poteri che lo sovrastano in maniera subdola ed ineluttabile attraverso un uso poco etico della scienza e della tecnologia. Bene così.