lunedì 29 novembre 2010

Ma che è morto sul serio?

(1915-2010)

Ciao caro Mario, adesso finalmente li potrai dirigere di nuovo. Divertiti. Ti dedico il funerale del Perozzi.

Scott Pilgrim vs. The World

Sei Super Mario, sei un idraulico italoamericano che deve salvare la principessa del Regno Dei Funghi dal malvagio tartarugone dinosauro Bowser saltando in testa a tutto quello che ti capita. Con B corri, con A salti. Se prendi un fungo cresci, se prendi un fiore spari palle di fuoco.
Press Start

Negli ultimi anni, i videogiochi hanno assunto una seriosa veste cinematografica, per cui la profondità e la coerenza interna della storia sono aspetti tanto importanti tanto quanto la giocabilità. Ma ci siamo mai chiesti come ha fatto un idraulico italoamericano di Brooklyn a finire nel regno dei Funghi? E a sparare palle di fuoco? E poi perché si chiama Mario sia di nome che di cognome? E la principessa, perché è l’unica umana del regno dei Funghi? Non sarà lei, l’usurpatrice? Ecco, ora chiediamoci anche perché non ce lo siamo mai chiesto. La risposta però è semplice: non c’è bisogno di coerenza drammaturgica, se lo scopo è divertirsi, se il divertimento è così totale ed immediato. Oggi sembra che senza una storia degna di Dostoevskij (a cui viene dedicata almeno mezzora prima dell’inizio effettivo del gioco), neanche i personaggi dei videogiochi possano essere credibili. Per non parlare dei tasti che ci vogliono per farli muovere. Scott Pilgrim vs. The World è uno dei film dell’anno (lo dice Empire, mica io). In quanto tale, a Roma la programmazione serale c’è solo alla Sala Troisi, in cui ogni cinque minuti trema tutto per il passaggio del tram o dei Tremors. All’UGC di Porta di Roma, solo lo spettacolo della mattina, a Parco Leonardo, solo alle 14.05. (Harry Potter ha venti spettacoli da una parte, ventitrè dall’altra, e poi si strilla al record di incassi: se non c’è altro da vedere, è ovvio che i soldi finiscano tutti là. ) Michael Cera è Scott Pilgrim, indolente e immaturo ventenne che vive tra videogames, avventure sentimentali deludenti ed il suo gruppo rock. Quando conosce Ramona, viene catapultato in una disfida mortale contro la Lega del Malvagi Ex della ragazza, sette loschi e pittoreschi individui che lo sfidano a suon di colpi speciali degni di un picchiaduro da bar anni novanta. Per conquistare definitivamente il cuore della ragazza, Scott non può sottrarsi ai duelli, che lo porteranno davanti all’ultimo e più pericoloso ostacolo: se stesso. Piatto come Super Mario Bros, violento come Street Fighter II, ripetitivo come Pac Man, Scott Pilgrim vs The World è il film sui videogiochi che aspettavamo da tanto tempo. Scott Pilgrim è un personaggio dei videogiochi (anni ottanta): va avanti, combatte, va ancora avanti, combatte. Fino all’ultimo livello, per salvare la principessa: sembra molto più Paper Boy o uno dei draghetti di Bubble Bobble piuttosto che il protagonista di Assassin’s Creed o di Heavy Rain, : da un momento all’altro, combatte con poteri del tutto irrealistici e che neanche sa di avere. E quando finisce, ricomincia a fare quello che stava facendo come se niente fosse. Portando al cinema quella logica geniale che ti faceva impersonare in Mario, Ryu e Sonic negli anni Ottanta e Novanta, Scott Pilgrim vs The World riesce dunque nell’obiettivo fallito dai tanti film ispirati a videogiochi, coniugare sul grande schermo cinema e games. Grattando sotto la superficie, questo film è un’evidente metafora della crescita (a scoppio ritardato) e della fuga dolorosa dall’adolescenza, di ciò che si lascia indietro e ciò che si può e si deve portare avanti. Ma in questo caso, la confezione è talmente scintillante e divertente che grattare la superficie non è necessario per dare un voto alto al film. Ad impreziosire il tutto, una colonna sonora rock grezza e incazzata come non se ne sentivano da tanto, non a caso curata da Nigel Godrich, produttore dei RadioHead. Scott Pilgrim vs. The World forse non piacerà a tutti, ma senza dubbio è dedicato a quelli che da piccoli avevano i gettoni contati e dovevano dividerseli tra Mexico 86, Street Fighter II e Daytona USA, a quelli che seppur malvolentieri si affidavano al tipo losco della sala giochi che sapeva sconfiggere il mostro, a quelli che oggi impazziscono se possono giocare a Pac-Man o Tetris sull iPhone e che se pensano a Super Mario, lo vedono sempre e comunque di profilo.

Game Over

Insert Coin

mercoledì 17 novembre 2010

Porco Rosso

"Un maiale che non vola è solo un maiale"
Chi segue l'animazione giapponese non può non conoscere Porco Rosso. L'aviatore col muso da maiale nato dalla mente di Hayao Miyazaki è uno dei simboli dello Studio Ghibli ed il protagonista di un film del 1992. Che arriva nelle sale italiane nel 2010. Di buono, c'è che se fosse arrivato negli anni novanta, gli sarebbe toccata la stessa triste sorte di altri film di Miyazaki, snaturati da un pessimo adattamento occidentale. Ho resistito per anni alla visione domestica di edizioni import, e ho fatto bene: Porco Rosso è un film da cinema. La meraviglia che si prova nel vedere un'animazione completamente realizzata a mano, oggi, è cosa rara: i colori, i dettagli, i fondali, le macchine, i personaggi: il tono malinconico dei film di Miyazaki è involontariamente accentuato da questo corto circuito temporale che permette a Porco Rosso di essere in sala insieme alle Winx e ai gufi (impagliati) in 3D di Ga'Hoole (oltre che a L'Illusionista, ma è un'altra storia). La trama, in breve: Marco Pagot è un aviatore italiano che negli anni del fascismo vive come cacciatore di taglie fuorilegge avendo rinunciato ad arruolarsi sotto il Duce. Quando i pirati del cielo assoldano un esperto pilota americano per liberarsi di lui, Marco, chiamato Porco Rosso a causa di un sortilegio che gli ha dato le sembianze di un maiale, deve fuggire a Milano per far riparare il suo idrovolante. Il nuovo progetto sarà opera della piccola Fio, che, oltre ad un aereo imbattibile, fa ritrovare a Porco Rosso anche parte dell'umanità perduta...ma il duello con l'americano Curtis diventa inevitabile. A prima vista molto diverso da altri film di Miyazaki, Porco Rosso ne rielabora semplicemente alcuni dei temi portanti in chiave più adulta e scanzonata. Il sortilegio che ha trasformato Pagot in un maiale non viene spiegato mai, ma è (oltre che un'invenzione visiva decisiva) il simbolo della rinuncia di Marco alla sua umanità, alle regole della società: nè contro il fascismo nè con esso, in nome di un individualismo egoista che rende le persone poco umane: Marco rinuncia anche all'amore di Gina, che lo attende invano, ma viene inevitabilmente colpito dalla vitalità e dalla purezza di Fio. L'evoluzione di personalità già in partenza complesse e mai completamente positive o negative, il confronto tra gli ideali giovanili ed il disincanto della maturità, spesso declinato in un confronto scontro tra due personaggi femminili, la metafora degli animali, il rifiuto categorico della guerra e della privazione della libertà attraverso la sua esaltazione (qui rappresentata dal volo): sono tutti temi cardine nella poetica di Miyazaki. Invece di avere regni fantastici e lontani, però, Miyazaki ha scelto l'Italia del fascismo ed il mare Adriatico come ambientazione (riuscitissima, tra l'altro), e riferimenti a veri piloti italiani e veri aerei per i personaggi invece che strani congegni volanti; il protagonista è un navigato uomo di mezza età che non si risparmia commenti a sfondo sessuale e parolacce, un eroe dei cieli egoista e affascinante, mutato nell'animo e nel fisico dal dolore della vita passata e dalla rinuncia al presente. Questo fa di Porco Rosso un'opera unica nella cinematografia del maestro giapponese, e, personalmente, da ieri ho un nuovo numero uno nella mia classifica dei film dello studio Ghibli: più coerente ed avvincente di altri, più divertente anche se meno immaginifico, più adulto anche se molto solare, più diretto. Le sequenze aeree di lotta e di volo sono estremamente divertenti, la sceneggiatura riserva molte battute divertenti e situazioni buffe, mentre la scena con gli aerei fantasma è da brividi, da grande cinema. La risoluzione del duello finale accentua i toni da farsa e da commedia, non togliendo spessore ai temi drammatici del film, ma sollevando decisamente gli animi prima della fine. Il finale aperto, poi, lascia una sensazione che pochi altri cartoni danno: invece di chiudere forzatamente la storia facendo vivere Porco Rosso per sempre felice e contento lascia in sospeso, e quindi libero, il personaggio, non tradendone lo spirito solo per mere esigenze di copione. In sala ieri eravamo meno di venti, quelli dietro di me parlavano di troll e portali magici attaccati alle cinque di mattina, quindi diciamo che non contano: venerdì esce Harry Potter 7, la peggior saga cinematografica degli ultimi venti anni e quindi una delle più seguite. Invece di maghi finti e laccati (tanto come finisce lo sanno tutti), io consiglio di cercare un po' di magia vera con Porco Rosso e L'Illusionista, simboli di un cinema artigianale destinato a scomparire, nascosto in poche sale piccole e malfunzionanti, ma che racchiude l'essenza di un'autentica esperienza cinematografica, artistica e, in definitiva, umana.

Il regno di Ga'Hoole

Prendete 300. Fatto? Sostituite a piacere barbagianni, civette e gufi a spartani, persiani e greci vari. Fatto? Girate dieci minuti di scene ed estendetele a un’ora e mezza col ralenti. Fatto? Rovinate tutto con il 3D. Fatto? Bene, siete Zack Snyder avete appena realizzato Il regno di Ga’Hoole - La Leggenda dei Guardiani, atipico fantasy in CG con dei gufi al posto delle persone. Per fare cinema basta seguire Art Attack, di questi tempi. Zack Snyder, autore di 300 e Watchmen, nonché incoronato da Chris Nolan regista del prossimo, ennesimo, Superman, ripropone la sua zuppa epica e rallentata, stavolta nella variante animazione fantasy. A mente fredda (e passato il mal di testa da 3D), è difficile non dare addosso a questo tipo di cinema che si esaurisce con la visione del trailer, in cui una tecnica di animazione meravigliosa (i gufi sono bellissimi) ed una storia con un buon potenziale sono asserviti ad una visione registica monotona e non più originale, che penalizza la sceneggiatura nella definizione dei personaggi e delle situazioni che dovrebbero maggiormente emozionare, demandando tutto all’effetto 3D che ancora una volta invece non aggiunge un bel nulla (e mi lascia l’impressione che in 2D, in blu-ray sarà un’altra cosa). Poteva e doveva essere migliore, Il Regno di Ga’Hoole e di certo c’è di peggio in giro: l’originalità del concept (in pratica, i gufi) fa comunque galleggiare il risultato finale sopra la sufficienza, per chi ama l’animazione in computer graphic. A chi è indirizzato un film del genere? Ai bambini non credo, è un po’ duretto da digerire. Agli adulti nemmeno, non scatta certo l’empatia con dei gufi da battaglia. Ga’Hoole è lì, nel limbo dei film riusciti a metà, probabilmente nati storti in un progetto che doveva essere gestito da altre mani. La freddezza del risultato è abbastanza inaccettabile, perché sa di presa in giro per il pubblico. Sarà che mi aspettavo molto, sarà che l'ho visto negli stessi giorni sia de L'Illusionista che di Porco Rosso, entrambi capolavori, ma sono deluso, è cinema da tempo perso. E chi ha tempo da perdere, di questi tempi?

martedì 16 novembre 2010

L'illusionista

Non spenderò troppe parole su L’Illusionista di Sylvain Chomet. Di cose da dire ce ne sarebbero tante, forse troppe: per un film praticamente muto, in cui l’emozione arriva tramite la forza essenziale del cinema stesso, l’immagine, non posso che semplicemente scrivere che di film come questo se ne vedono pochi, a cartoni praticamente nessuno, e risparmiare parole inutili che finirebbero per banalizzare quello che semplicemente si può comunicare senza dire nulla. Erano anni che attendevo la seconda opera dell’autore del geniale Appuntamento a Belleville, non sono rimasto deluso. L’Illusionista non è un film per tutti, di certo non è un film per gli spettatori occasionali o che vanno al cinema in mancanza di alternative: un cartone animato dallo stile originale e unico, malinconico nello svolgimento e tristissimo nella risoluzione, tratto da una sceneggiatura inedita di Jacques Tati e vicino ad una comica di Chaplin, lontanissimo da qualunque stereotipo legato all’animazione, anche quella di qualità, sia occidentale che orientale, per contenuti, stile e tecnica utilizzata. L’Illusionista è un film denso e difficile: Sylvain Chomet sceglie l’animazione perché non potrebbe mai veicolare tutto il groviglio di sensazioni e colori con attori in carne ossa invece che con personaggi che sono fisicamente costruiti come l’emozione che rappresentano. Ho scritto già troppo e L’Illusionista, temo, è già fuori dai cinema, vista la limitata distribuzione. Nonostante ciò, è uno dei film migliori che ho visto quest’anno e non posso che consigliarlo vivamente a chi vuole essere di nuovo stupito dal cinema.

giovedì 11 novembre 2010

Unstoppable - TOP 10 scene con i treni

La recensione di questo discreto film con Chris Pine e Denzel Washington che per fare sempre la stessa cosa prende venti milioni a film è qui, su filmscoop.it . Immancabile in questi casi, una bella top 10 di scene su/con i treni...ce ne sono a palate, più ci penso più me ne vengono in mente...(Butch Cassidy!! La Stangata!! Spider-Man 2! Ghost! Men In Black 2! ...vabbè...)

10) Indiana Jones e L'ultima Crociata Metà dell'iconografia di Indiana Jones (cappello, frusta, paura dei serpenti...) nasce nell'antefatto de L'Ultima Crociata, quando un giovane Indy (River Phoenix) lotta su un treno contro una squadra intera di ladri di reperti archeologici. 9) Non ci Resta che Piangere Il treno è fondamentale in questo film: all'inizio, Mario e Saverio si stancano di aspettare i sei-sette treni dello smistamento e prendono la strada laterale...alla fine, un altro treno. La scena finale di Non ci resta che piangere è favolosa, ma ancora di più lo è pensare che un Leonardo da Vinci apparentemente non sveglissimo sia riuscito a costruire un treno nel 1500 a partire dalla spiegazione di Benigni...

8) Toy Story 3

La miglior scena d'azione dell'anno e la miglior scena iniziale, Woody contro il temibile Mr Potato lanciati su un treno diretto verso un burrone. L'inizio perfetto per rientrare nel mondo di Toy Story. 7) Ritorno al Futuro III Problema: la Delorean è a secco, i cavalli non ce la fanno a trainarla fino a 88 miglia all'ora. Cosa può spingere la macchina del tempo nel vecchio West di Hill Valley se non una locomotiva? Come sempre, Marty e Doc trovano il modo di ridursi all'ultimo respiro della loro unica chance, stavolta su un treno a vapore. 6) Bananas Woody Allen contro un giovanissimo Sylvester Stallone. Non c'è storia? non è detto...basta avere il giusto tempismo! O forse no.

5) Stand by me La scena del treno sul ponte è da brividi, in un film sull'amicizia e sull'infanzia che finisce. Bellissimo. Ehi, ma quello non è WILL WHEATON????? 4) Amici Miei (grazie Mary) Me la stavo per dimenticare, ma effettivamente la scena degli schiaffi alla stazione è geniale. Dalla prima volta che l'ho vista, ho sempre avuto il desiderio di provarci, bisogna solo trovare il treno giusto.

3) A qualcuno piace caldo Josephine e Daphne nel vagone notte con un'intera orchestra femminile, capitanata da Zucchero Kandinski / Marilyn Monroe. Chi porta il ghiaccio?

2) A Hard day’s Night I Beatles, dopo esserci saliti per miracolo scampando al delirio delle fans, portano scompiglio su tutto il treno e fanno la conoscenza del terribile nonno di Paul. C'è il tempo anche per una canzone...

And the winner is.....

1) Febbre da Cavallo Sandokan e gli spicci, più la Mandrakata più faticosa di tutte.

"E quante carozze ce saranno?" "E che no, quanno finisce er treno se fermamo!!" "E certo, che se famo corre appresso dar treno?"

Gran premio della giuria: Galaxy Express, decisamente il più bel treno prestato alla fiction di tutti i tempi. Il modo in cui decolla dal binario interrotto è una delle immagini più suggestive dell'animazione giapponese che io ricordi.

Grazie a filmscoop.it

The Social Network

Qui su Best Movie la recensione/presentazione di The Social Network, che esce oggi. Ci sono due tipi di film tratti da storie vere: quelli come Unstoppable, che si ispirano ad un fatto realmente accaduto (e spesso se ne vantano pure) ma ci costruiscono sopra una storia ex-novo, e quelli tipo The Social Network o tutti i biopic, in cui fatti e persone sono realmente esistenti, solo che il tutto è deformato dalle esigenze di copione. In entrambi i casi, parto decisamente prevenuto, ma per il secondo tipo nutro un odio profondo, perchè ne contesto a priori lo scopo e i mezzi: che senso ha cambiare i fatti e poi spacciarli per una storia vera? Allora tanto vale inventare di sana pianta, soprattutto quando documenti, anche filmati, dell'epoca sono facilmente rintracciabili (vedi l'assurdo Frost/Nixon). Inoltre, se le vicende narrate sono talmente interessanti da meritarsi una trasposizione cinematografica, perchè bisogna aggiungere/togliere/mistificare? E soprattutto, ma perchè si fanno sempre un vanto del fatto che il film si ispira a fatti reali? L'autenticità di un film non ha nulla a che vedere con la verità dei fatti narrati. Ci sono rare eccezioni, a mente direi che i film della seconda categoria che proprio non sono riuscito ad odiare di questa categoria sono (nell'attesa di Nowhere Boy, che esce a dicembre, finalmente): 1) Milk (di Gus Van Sant): commovente e profondo, più che un semplice biopic è proprio un inno alla tolleranza. E poi, non riesco a bocciare alcun film che contenga riferimenti al Mago di Oz, neanche Sky Captain and the World of Tomorrow... qui c'è una bellissima sequenza sulle note di Somewhere Over the Rainbow. 2) Il divo ( diPaolo Sorrentino): più che un biopic, un biovideoclip di Paolo Sorrentino sulla vita di Giulio Andreotti con il solito immenso Servillo e un inquietante Carlo Buccirosso nei panni di Pomicino. 3) Tu chiamami Peter (di Stephen Hopkins): il biopic su Peter Sellers è inutile come tutti i biopic, ma Geoffrey Rush interpreta magnificamente Peter Sellers, e la trovata di regia di fargli impersonare anche gli altri personaggi è riuscitissima 4) The Social Network (di David Fincher): un film di oggi che racconta il presente attraverso la storia di uno degli status symbol di questo decennio. Attualità, finanza, società. Molto meglio di Wall Street per capire come si gioca oggi... 5) Burke & Hare (di John Landis): finalmente una commedia seria, ci voleva il veterano John Landis, esiliato in Inghilterra, per ricordare a quelle checche isteriche di Hollywood tipo Judd Apatow e Ben Stiller che ci vuole anche un po' di autoironia...

mercoledì 10 novembre 2010

La scuola è finita e gli insegnanti cinematografici

La recensione di La Scuola è Finita di Valerio Jalongo è su filmscoop.it. Qui, invece, un ipotetico collegio docenti dei migliori insegnanti cinematografici (escludendo volutamente le varie “insegnanti” della commedia sexy anni settanta, dalla Fenech in giù, altrimenti era troppo facile…) LETTERE Prof Lipari/Vivaldi (Silvio Orlando, Auguri Professore/La Scuola)

Frase chiave: "Le domande hanno bisogno di respirare" L’idealista di sinistra, Il visionario contro il sistema, l’ultimo baluardo della cultura contro la devastazione della scuola italiana. Il tenero professor Lipari ed il suo alter ego Vivaldi, entrambi usciti dala penna di Domenico Starnone e caduti sulla faccia perfetta di Silvio Orlando, sono l’archetipo del professore che non demorde, che ne fa una missione personale, fino a sbagliare per troppo ardore. Disilluso forse, ma mai domo. Sempre Silvio Orlando regala una grandissima lezione di letteratura italiana in Il Portaborse di Luchetti ("...e anche Manzoni, diciamo la verità, mentre lui per cinquant'anni scrive e riscrive i Promessi Sposi, Balzac infila uno dopo l'altro dieci capolavori, Melville scrive l'immenso Moby Dick e Dostoevskij...beh Dostoevskij scrive L'Idiota, Delitto e Castigo e I Fratelli Karamazov!"). LETTERATURA INGLESE Prof Keatings (Robin Williams, L’Attimo Fuggente)

Frase chiave (per chiamarlo, altrimenti non si gira): “O Capitano Mio Capitano” Non vedo questo film da anni, per paura di scoprire che uno dei primi film ad emozionarmi davvero non sia poi il capolavoro che ricordo. Ma “O Capitano Mio Capitano” mi è rimasto dentro. MATEMATICA (E SUPPLENTE DI GINNASTICA) Prof Apicella (Nanni Moretti, Bianca)

Frase chiave: "continuiamo così, facciamoci del male"
Che non sia del tutto equilibrato, il professor Apicella, lo si scopre alla fine del film. Certo la rissa con l’alunno che gli dà dello stronzo poteva essere un campanello d’allarme. E non ditegli che non conoscete la Sacher Torte. STORIA Maestro Saverio (Roberto Benigni, Non Ci Resta che Piangere)

Frase chiave: “Questo lo boccio” Benigni è un maestro elementare che vuole bocciare il povero Giachetti solo perché gli è stato antipatico dal primo momento che l'ha visto. A pensarci bene, non mi è mai venuto il dubbio che Giachetti non fosse davvero antipatico… ARCHEOLOGIA Prof Jones (Harrison Ford, Quadrilogia di Indiana Jones)

Frase chiave: “La X non è il punto dove scavare.”
Come il più classico dei supereroi, nascosto dietro un paio di occhiali da vista da topo di biblioteca, Indiana Jones insegna archeologia a studenti attenti e studentesse trasognate tra un'avventura e l'altra. POZIONI (sì, è una sezione sperimentale) Prof Piton (Alan Rickman, Harry Potter)

Troppo facile mettere Albus Silente o Lupin. In un corpo insegnanti che si rispetti c’è almeno una carogna frustrata che si sfoga sugli alunni. Severus Snape (o Piton) è l’arcigno insegnante di Pozioni di Harry Potter, infame e intransigente, esigente, inumano e spietato. Che ci gode a mettere insufficienze, che ritiene di sprecare il proprio tempo con gli alunni senza speranza. Se a questa descrizione non corrisponde almeno uno dei vostri insegnanti (valgono tutti, dall’asilo a scuola guida), non siete stati a scuola. MUSICA Mr. Finn (Jack Black, School of Rock)

Frase chiave: "Che vi insegnano in questo posto?"

Sì, d’accordo non è un vero professore, ma non lo erano neanche le altre candidate per la cattedra di musica (Maria/Julie Andrews di Tutti insieme appassionatamente e Suor Maria Claretta/Whoopy Goldberg di Sister Act), quindi ho scelto per il più simpatico e matto, che ci sta bene sempre qualcuno sopra le righe.
Che bel consiglio di classe che ne verrebbe fuori....

venerdì 5 novembre 2010

Festival di Roma 2010: la BOTTOM FIVE (e altre considerazioni sparse)

Il lato oscuro del Festival, la classifica degli orrori. L’arte imita la vita, si dice, ma ancora di strada ha da farne prima di togliergli il primo posto, soprattutto nelle cose negative… 1. Il pubblico Come sempre, la cosa peggiore di tutte è la gente. Io non capisco, davvero, come sia possibile. Non c’è stata una volta che non ci fosse qualche testa di cazzo che doveva commentare ad alta voce scena per scena. Il top è stato quella che, zittita, ha commentato: “Ma perché? Non stanno parlando”. E certo, perché i momenti di silenzio del film ce li mettono apposta i registi, sono gli spazi adibiti ai commenti del pubblico. Da podio anche il giornalista BBC accreditato con la faccia da maniaco che non voleva liberare il posto per il legittimo proprietario (munito di biglietto) perchè gli avevano detto di sedersi dove gli pareva (per l'organizzazione di merda, vedi punto 4). E poi sono gli italiani... Anche quello che ha dovuto tradurre il film battuta per battuta alla deficiente che aveva accanto non è stato niente male, per non dire delle due che si sono spazientite durante l'incontro con Rockwell, che evidentemente disturbava le loro chiacchiere, dal quale sono uscite solo con la voglia di rivedere FlashDance. Ve lo meritate Alberto Sordi. Ma che ci venite a fare? Biglietti omaggio, senza dubbio: avevano la faccia di quelle che "vanno al cinema" così per rivedersi ed aggiornarsi sulle loro disgrazie sentimentali (perchè solo quelle...), ma non per "vedere un film". Poi cosa vedono lo decidono in cassa tra una chiacchiera e l'altra, tanto chi sta in fila dietro di loro può aspettare. Io vi odio dal profondo del mio cuore e sì, vi giudico senza appello al solo sentirvi parlare tre minuti di cinema. L’unica volta che non avevo nessuno dietro e da un lato, dall’altro lato persone civili, quello davanti PUZZAVA talmente tanto che ad ogni minimo movimento appestava la sala (chissà se leggerà queste parole, ci provo: ciccio, eri seduto in galleria a Kill Me Please, fila 4, posti centrali, stavi con un’amica. LAVATI e LAVA I TUOI VESTITI, anzi buttali e comprati qualcosa di decente). Cazzo, ma è possibile? Invece del caffè HAG, l’anno prossimo facciamo fare da sponsor alla Infasil, almeno distribuiscono un po’ di deodorante. Stesso discorso per i giornalisti: spocchiosi e cafoni, quando non gradiscono te lo devono far sapere in diretta ad alta voce. E spesso, non gradiscono già da prima di vedere il film, mentre fanno la fila. Andate a lavorare. 2. I Want To Be A Soldier Valeria Marini produce e recita in inglese. E questo già basterebbe. Il film fa schifo, ma quando il bambino dice alla Marini: “Non sembri una maestra, sembri una troia” scatta l’applauso. 3. Dylan Dog Venti minuti che lasciano l’amaro in bocca. Se Dylan Dog resterà sul livello dei primi venti minuti, sarà un pessimo film. Vampiri e licantropi per assecondare la moda, niente Groucho, niente Londra, niente atmosfera. Ma perché allora? 4. l’organizzazione Assurde le code per gli accreditati se i posti sono già assegnati, le biglietterie hanno fatto un gran casino, i sottotitoli non erano mai in sincrono, il volume in sala Alitalia variava tra “stordimento” ed “assordante”, ma senza mai passare da “accettabile”. Prezzi assurdi, soprattutto con il rischio di finire in galleria e di avere le sbarre della balaustra davanti agli occhi... 5. Dog Sweat Due parole: che. palle. Se un regista ha l’urgenza di documentare la normalità della vita dei giovani Iran, presumendo che a qualcuno interessi sapere che dopotutto non si sta così male sotto un regime religioso, allora faccia un documentario (e già quello…). Per fare un film ci vuole altro, ci vuole un cavolo di dramma, una struttura narrativa, delle storie da raccontare. Ripeto: che palle. Fuori classifica, in ordine sparso e velocemente: bello The Social Network, di David Fincher, sulla genesi di Facebook e le battaglie legali tra i suoi creatori; ho trovato interessante l’esordio di Jim Loach, figlio d’arte, che ha scelto un episodio di cronaca incredibile per il suo Oranges and Sunshine. Persino la mia idiosincrasia alle storie tratte da una storia vera non ha resistito, stavolta. Pete Smalls is dead di Alexandre Rockwell è un bel film indipendente sconclusionato e fracassone che sembra uscito dagli anni novanta, e che fa vergognare tutto il cinema sedicente indie (ma in realtà fintissimo) degli ultimi anni, da Little Miss Sunshine in poi. Tra l'altro l'incontro con Rockwell è stato complementare a quello di Landis e molto istruttivo, oltre che divertente. Di Animal Kingdom e del suo regista David Michod sentiremo parlare presto: la declinazione australiana del gangster movie è l’alternativa all’asse Scorsese-Tarantino, può non piacere, ma è qualcosa. Al cinema ora. Divertente The Incite Mill, thriller giapponese che unisce il Grande Fratello ad Agatha Christie. Kill Me Please è una black comedy belga d’altri tempi, chissà se lo vedremo al cinema, originale nella sua imperfezione, un diamante grezzo con momenti di grande cinema. Ma possibile che ci mangino in testa proprio tutti, quanto ad originalità? Certo, immagino in Italia un film sull'eutanasia che reazioni susciterebbe... Piuttosto inutili Rabbit Hole e Let Me In (copia verbatim dello svedese Lasciami Entrare), il cinema americano segna decisamente il passo, scadendo nella mediocrità assoluta. Si salva solo The Kids Are All Right, ma solo perché è divertente e con tre attori bravissimi (Julianne Moore, Annette Bening, Mark Ruffalo). Capitolo Italia: Il Padre e lo Straniero di Ricky Tognazzi mette troppa carne al fuoco e fa più fumo che arrosto, ma almeno non è la solita commedia generazionale o stereotipata. Qualche merito ce l’ha e gli va riconosciuto. La scuola è finita è imperfetto ed è stato accusato di banalità, ma d’altra parte meglio questo che Notte prima degli esami, per dare un occhio alla scuola di oggi. Certo i tempi de La Scuola e Auguri Professore sono lontani, ma anche la scuola vera è cambiata. Un grazie a Best Movie e a MS che mi ha supportato e sopportato durante questi giorni convulsi.

giovedì 4 novembre 2010

Festival di Roma 2010: la TOP FIVE

Nonostante una dieta di piadine in busta, biscottini carissimi e caffè HAG e pochissime ore di sonno sono uscito vivo dal Festival di Roma. Bella esperienza: finalmente mi sono goduto a pieno un festival, sono riuscito a collezionare venti proiezioni (il record è stato le quattro proiezioni consecutive del primo novembre) e non vedo l’ora di rifarlo l’anno prossimo. Ho visto cose che voi umani potete solo immaginare (o pagare 23 euro per la sala Santa Cecilia), quindi ve le racconto, con due belle classifiche ( i link sono agli articoli che ho scritto per Best Movie). Ecco la classifica delle cose migliori viste al Festival: 1. John Landis Primo posto meritatissimo per un regista fantastico. Burke & Hare è divertente e deficiente come i vecchi film di Landis, mentre la lezione di cinema del regista è stata una serata imperdibile, all’insegna della follia e di un cinema che sta scomparendo dalle sale ma è scolpito nei nostri cuori. (John Landis con George Lucas) 2. The People vs. George Lucas Han Shoots First. Jar Jar Binks. Nuke The Fridge. I Midichlorian: le imputazioni per George Lucas sono serie, il suo stato di divinità è stato messo in discussione dagli stessi creatori del suo culto, i suoi fan più accaniti. Questo divertente documentario esplora in maniera semiseria le dinamiche che si sviluppano tra un autore, la sua opera ed il suo pubblico, prendendo come esempio Lucas e Star Wars. Un film che, personalmente, ho sentito tantissimo…

3. Las Buenas Hierbas Struggente ed originale, il film messicano di Maria Novaro ti resta attaccato addosso. Un film “da festival”, che non avrei mai visto altrove, neanche pagato. E' il bello dei festival, la sorpresa di certi film e di un certo cinema "invisibile". Consigliatissimo.

4. Boardwalk Empire Il pilota, fantastico, è diretto da Martin Scorsese , che produce insieme a Mark Wahlberg una nuova serie sulla criminalità organizzata degli anni Venti.

Uno Steve Buscemi in grande forma è il protagonista Nuckie Thompson, politico corrotto di Atlantic City alle prese con i giovani gangster Lucky Luciano ed Al Capone. Sarà un classico se rimane sui livelli cinematografici dell'episodio pilota, ma dobbiamo aspettare gennaio per la versione italiana (su Sky).

5. Nausicaa della Valle del Vento La retrospettiva su Miyazaki l’ho saltata quasi tutta, purtroppo. Orari strani, altri impegni…ma questo no, è il film più vecchio, il manifesto dello Studio Ghibli e, non so perché, ho sempre avuto una strana curiosità per questo film, le cui immagini mi colpirono da piccolo quando le incontrai per la prima sulle riviste di fumetti giapponesi. Finalmente l’ho visto e mi è piaciuto.

Seguirà la Bottom Five...

(grazie a Best Movie e MS)