Negli ultimi anni, i videogiochi hanno assunto una seriosa veste cinematografica, per cui la profondità e la coerenza interna della storia sono aspetti tanto importanti tanto quanto la giocabilità. Ma ci siamo mai chiesti come ha fatto un idraulico italoamericano di Brooklyn a finire nel regno dei Funghi? E a sparare palle di fuoco? E poi perché si chiama Mario sia di nome che di cognome? E la principessa, perché è l’unica umana del regno dei Funghi? Non sarà lei, l’usurpatrice? Ecco, ora chiediamoci anche perché non ce lo siamo mai chiesto. La risposta però è semplice: non c’è bisogno di coerenza drammaturgica, se lo scopo è divertirsi, se il divertimento è così totale ed immediato. Oggi sembra che senza una storia degna di Dostoevskij (a cui viene dedicata almeno mezzora prima dell’inizio effettivo del gioco), neanche i personaggi dei videogiochi possano essere credibili. Per non parlare dei tasti che ci vogliono per farli muovere. Scott Pilgrim vs. The World è uno dei film dell’anno (lo dice Empire, mica io). In quanto tale, a Roma la programmazione serale c’è solo alla Sala Troisi, in cui ogni cinque minuti trema tutto per il passaggio del tram o dei Tremors. All’UGC di Porta di Roma, solo lo spettacolo della mattina, a Parco Leonardo, solo alle 14.05. (Harry Potter ha venti spettacoli da una parte, ventitrè dall’altra, e poi si strilla al record di incassi: se non c’è altro da vedere, è ovvio che i soldi finiscano tutti là. ) Michael Cera è Scott Pilgrim, indolente e immaturo ventenne che vive tra videogames, avventure sentimentali deludenti ed il suo gruppo rock. Quando conosce Ramona, viene catapultato in una disfida mortale contro la Lega del Malvagi Ex della ragazza, sette loschi e pittoreschi individui che lo sfidano a suon di colpi speciali degni di un picchiaduro da bar anni novanta. Per conquistare definitivamente il cuore della ragazza, Scott non può sottrarsi ai duelli, che lo porteranno davanti all’ultimo e più pericoloso ostacolo: se stesso. Piatto come Super Mario Bros, violento come Street Fighter II, ripetitivo come Pac Man, Scott Pilgrim vs The World è il film sui videogiochi che aspettavamo da tanto tempo. Scott Pilgrim è un personaggio dei videogiochi (anni ottanta): va avanti, combatte, va ancora avanti, combatte. Fino all’ultimo livello, per salvare la principessa: sembra molto più Paper Boy o uno dei draghetti di Bubble Bobble piuttosto che il protagonista di Assassin’s Creed o di Heavy Rain, : da un momento all’altro, combatte con poteri del tutto irrealistici e che neanche sa di avere. E quando finisce, ricomincia a fare quello che stava facendo come se niente fosse. Portando al cinema quella logica geniale che ti faceva impersonare in Mario, Ryu e Sonic negli anni Ottanta e Novanta, Scott Pilgrim vs The World riesce dunque nell’obiettivo fallito dai tanti film ispirati a videogiochi, coniugare sul grande schermo cinema e games. Grattando sotto la superficie, questo film è un’evidente metafora della crescita (a scoppio ritardato) e della fuga dolorosa dall’adolescenza, di ciò che si lascia indietro e ciò che si può e si deve portare avanti. Ma in questo caso, la confezione è talmente scintillante e divertente che grattare la superficie non è necessario per dare un voto alto al film. Ad impreziosire il tutto, una colonna sonora rock grezza e incazzata come non se ne sentivano da tanto, non a caso curata da Nigel Godrich, produttore dei RadioHead. Scott Pilgrim vs. The World forse non piacerà a tutti, ma senza dubbio è dedicato a quelli che da piccoli avevano i gettoni contati e dovevano dividerseli tra Mexico 86, Street Fighter II e Daytona USA, a quelli che seppur malvolentieri si affidavano al tipo losco della sala giochi che sapeva sconfiggere il mostro, a quelli che oggi impazziscono se possono giocare a Pac-Man o Tetris sull iPhone e che se pensano a Super Mario, lo vedono sempre e comunque di profilo.
Game Over
Insert Coin
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