Ah, la prima elementare. C’era quello altissimo che ora gioca a basket, c’era quello ciccione che ora è un bel ragazzo, c’era quello che non avrebbe imparato la tabellina del 2 per i successivi cinque anni e neanche dopo, c’era quello denutrito e sporco che non so proprio cosa faccia, visto che non c’è su feisbuc, c’era quello che non giocava mai a calcio con noi e ora è gay. Più le femmine, ovvio: la razza mutante per eccellenza. Più alte, più sveglie, più stronze. Col tempo, le abbiamo superate. In altezza. In prima elementare è fondamentale capire poche cose: la differenza tra e ed è, il più (inteso come segno di addizione), le doppie, che le femmine ci sono e tocca tenersele (una volta mutate, verso l’adolescenza, diventeranno irresistibili, pur restando nella maggior parte dei casi insopportabili). Il resto, vien da sé.
Poche altre esperienze nella vita sono determinanti come la prima elementare: non capisci il più? Sei fregato. La matematica ti perseguiterà per tutta la vita.
Ecco perché alla Fox hanno deciso di prendere gli X-Men e riportarli in prima elementare: ovvero indietro nel tempo fino alla giovinezza di Xavier e Magneto ed alla costituzione del primo nucleo di X-Men.
Dunque, si (ri)comincia: anni sessanta, Charles Xavier (James McAvoy) è un giovane mutante che usa il suo potere telepatico soprattutto per conquistare le donne, mentre si laurea in genetica. Raven Darkholme (Jennifer Lawrence) è una trovatella mutaforma che Xavier accoglie nella sua casa. Erik Lenhsherr (Micheal Fassbender) è un sopravvissuto all’Olocausto in cerca di vendetta. Sebastian Shaw (Kevin Bacon) è un infamone senza scrupoli, ex nazista, che vuole scatenare la Terza Guerra Mondiale per salire al potere. Moira McTaggart è un’agente della Cia sulle tracce di Shaw che recluta Xavier come consulente sul fenomeno dei mutanti. Da grandi amici ad acerrimi nemici, da collaboratori della CIA a fuorilegge, da Charles a Professor X, da Erik a Magneto, da Raven a Mystica: questa è la storia di origini che gli X-Men, contrariamente agli altri supereroi, non hanno mai avuto.
E’ senza dubbio il capitolo migliore della saga, per vari motivi. Dal punto di vista narrativo, innanzitutto: i percorsi paralleli di Charles ed Erik si contrappongono, si attraggono per un momento e si separano nuovamente e drammaticamente (tipo una X), fornendo al film un centro emotivo fortissimo, in particolare con la storia di Erik, per di più su uno sfondo storico reale, la crisi missilistica di Cuba. E’ difficilissimo, dopo questo film, ripensare a Magneto nello stesso modo, non provare compassione: quello che la trilogia di prequel ha fatto per Darth Vader, First Class lo fa per Magneto. Se la chiave del primo X-Men era nella figura e nella storia di Wolverine, in First Class è proprio il futuro terrorista mutante, che cede alla rabbia invece che aprirsi alla compassione. E si sa: la rabbia conduce all’odio, l’odio conduce al Lato Oscuro della Forza. Micheal Fassbender è incredibilmente bravo a gestire le sfumature di un personaggio enormemente carismatico e tormentato, un eroe che precipita nel suo destino tragico di sostituto dei suoi stessi aguzzini nazisti, di profeta di una razza sedicente superiore in guerra contro la razza inferiore. Non c’è paragone con la parabola narrativa di Wolverine nella trilogia, che si perde strada facendo e di fatto non si conclude: la genesi di Magneto è la più emozionante che si sia vista in un film su personaggi Marvel.
Nella trilogia di Singer e Ratner, Xavier e Magneto (Patrick Stewart e Ian McKellen) sono due attempati rivali alle prese con le rispettive utopie. Si combattono a parole, si muovono poco, c’hanno un’età, si vede che il meglio è già passato, si sfidano a colpi di carisma: in First Class li vediamo giovani, potenti, ambiziosi e inesperti, a riflettere su da che parte stare. Stesso discorso per gli X-Men: nel primo film la squadra è composta da Ciclope, Jean Grey e Tempesta, tre soldati secchioni e disciplinati al soldo di Xavier ai quali si aggiunge, per fortuna, la variabile impazzita – ma ben presto allineata - di Wolverine. Il team di First Class è composto invece da giovani inesperti divisi tra un conflitto interiore fortissimo e la voglia di giocare a fare gli eroi, sconsiderati e coraggiosi, guidati da un duo di mutanti potenti ma avventati. Aggiungete dieci anni di progressi negli effetti speciali e una regia decisamente meno compassata di quella di Singer: Matthew Vaughn, dopo l’egregio lavoro svolto in Kick-Ass centra un altro obbiettivo: rendere gli X-Men veramente uno spasso (Banshee e Havoc sono letteralmente spettacolari).
James McAvoy funziona meglio nelle numerose scene leggere che in quelle drammatiche, ma tutto sommato ha una buona alchimia con Fassbender, che ricorda quella tra Patrick Stewart e Ian McKellen, ma con qualcosa di efficacemente diverso. Jennifer Lawrence e Nicholas Hoult (un giovane Hank McCoy, futuro Bestia già visto, più vecchio, in X-Men 3) si confermano interpreti interessantissimi, in grado di sostenere con intensità la sottotrama legata all’accettazione della propria diversità, essendo i loro personaggi segnati nell’aspetto fisico dalla mutazione. Anche in questo caso la condivisione del dolore porterà a scelte radicalmente diverse ed alla definizione delle due fazioni di mutanti, a fianco e contro l’homo sapiens. Deludente la performance di January Jones nei panni di Emma Frost, personaggio che comunque scompare nel secondo atto. Della sua prova resta solo il costume, che, pur lasciando molto poco all’immaginazione per la gioia del pubblico maschile, conferma che certe trovate grafiche che funzionano nei fumetti non possono essere riprese al cinema senza una dovuta rielaborazione.
L’ambientazione “sixties” rende le cose più facili: i costumi, la musica, le scenografie si sposano perfettamente con un concept decisamente vintage, più adatto a rappresentare i vari colori degli anni Sessanta che quelli dell’epoca attuale. Gli X-Men, metafora fumettistica dei diversi e degli emarginati, calati nell’epoca della diffidenza e della paura di uscire di casa. La cornice perfetta per un film a cui non si può mancare: pur essendo palesemente il prequel almeno dei due capitoli diretti da Singer (che ha scritto la storia e prodotto), come confermano due cameo assolutamente geniali e la piega che gli eventi prendono nel finale, X-Men: First Class è assolutamente godibile anche senza aver mai visto un solo minuto della trilogia precedente ed è il miglior film Marvel da diversi anni a questa parte.
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