mercoledì 23 giugno 2010

Brotherhood

“Non ho niente contro nazisti ed omosessuali purchè i due fenomeni non si presentino contemporaneamente”
Parafrasando questa celebre battuta di Corrado Guzzanti, si può riassumere Brotherhood, di Nicolo Donato. Ogni critico ha la sua nemesi: c’è quello che non capisce la fantascienza, quello che paragona qualunque cosa a Quarto Potere, anche i i film dei Vanzina e Toy Story, quello che non ama il 3D, quella che parla di tutto fuorché del film (sì, Morgoglione, ce l’ho con te). Io non capisco i film come Brotherhood. Perché mai nella vita si dovrebbe voler realizzare un film su due neonazisti danesi omosessuali? Cioè, ma chi se ne frega? Quando vedo film del genere, mi immagino sempre di chiedere all’autore il perché. Quale miglior occasione, dunque, di quella di ieri sera all’Auditorium, dove la proiezione di
Brotherhood era impreziosita da un incontro con Donato. Al termine della proiezione, mi sono detto: << la prima domanda sarà sicuramente: “Perché hai fatto questo film?”, se risponde “In fondo, è solo una storia d’amore” me ne vado. >> Ho tre testimoni a confermare che le cose sono andate secondo tale previsione.
In realtà sono rimasto altri cinque minuti ma quando Donato ha pure detto che nessuno è davvero cattivo e che tutti hanno bisogno d’amore, non ce l’ho fatta più: che cos’è? Anche i nazisti piangono? Che dovrei fare? Commuovermi per questo amore contrastato tra due idioti picchiatori? Far generare al mio cervello una riflessione sull’emarginazione dei poveri sbandati danesi ed astrarre concetti universali sul bisogno di appartenenza e sulla miserrima condizione umana dilaniata tra essere e apparire? E poi perchè questi film mitteleuropei sembrano tutti girati con la macchina da presa dentro una scatola di corn flakes ed illuminati con la torcia elettrica in omaggio con i suddetti cereali?
Il passo successivo è stato immaginare la genesi del film: Nicolo Donato, dopo una sbronza danese, chiama il suo agente e gli fa:
“Klaas, ho un’idea fantastica, voglio rifare Giulietta e Romeo!”
Nicolo, figlio mio, ma un’idea originale no?
“No ma questa è una versione attualizzata!”
L’ha fatta Luhrman con Di Caprio, arrivi tardi
“Sì ma questa è ambientata in Danimarca, come l’originale”
Quello è Amleto
“Ah vabbè, sempre Dante è, però è una versione gay”
A parte che è Shakespeare, ma, ecco, già si può fare, magari ci rimettiamo Di Caprio
“E i due sono neonazisti”
Nicolo, stai prendendo le pillole che ti ha prescritto il dottore?
“No ma ascolta, invece che Montecchi e Capuleti, mettiamo neonazisti e persone normali, e poi ho visto questo film fortissimo, “Harry ti Presento Sally”, dove loro due all’inizio si odiano, poi si piacciono, poi fanno sesso e c’è un grande imbarazzo, poi si separano ma alla fine restano insieme. Secondo me non l’ha visto nessuno, possiamo copiarlo”
“…geniale, sì, deve essere un film minore, poi voglio dire, ci mettiamo un paio di pestaggi neonazisti e abbiamo un film che razzola premi in giro per il mondo, così attuale e sensibile alle tematiche sociali attualmente in voga. Chiamami domani, va, che lo facciamo!
Ecco. Poi non dite che non vi avevo avvertito.

martedì 8 giugno 2010

The Road

“Guarda quanto sembriamo magri”
Qualcosa di terribile è capitato alla Terra. Ma non si scoprirà cosa. Gli alberi cadono, gli animali sono tutti morti, ci sono continui terremoti, non c’è sole, non c’è elettricità, le case sono distrutte e le città abbandonate, ascolti record per Porta a Porta. Qualcosa di ancor più terribile è capitato alle persone. I pochi ancora normali hanno poche opzioni: scegliere di morire spontaneamente o scappare (verso un Sud più utopico che reale), conservando se possibile una pallottola per evitare una morte dolorosa. Ecco lo scenario di The Road, film che non a caso ha faticato tantissimo in Italia a trovare distribuzione, in cui un grande Viggo Mortensen è il papà senza nome che tenta di portare il figlio lontano dall’inverno e allo stesso tempo di preservarne, a tutti i costi, l’umanità. Lo scenario in cui padre e figlio si muovono è quello già visto tante altre volte, ma, appunto, stavolta è solo lo scenario: la catastrofe è già successa diversi anni prima dell’inizio del film e viene soltanto vagamente intravista in un flashback, non importa la causa, solo l’effetto: che la vita umana è tornata al livello primitivo, alla lotta per la sopravvivenza. Alcune scene sono estremamente pesanti, sia per immagini che per contenuto e per tre quarti siamo davanti ad un grandissimo film: il finale lascia inizialmente un po’ l’amaro in bocca, ma bisogna pensarci su. Senza spoilerare troppo, con grande merito dei realizzatori si arriva all’atto conclusivo pensando, anzi, quasi convinti, che possa accadere – e che sarebbe logico - qualcosa di mai visto in un film e invece – forse per fortuna – questo non accade. Sarebbe stato il finale perfetto oppure avrebbe reso il film eccessivamente deprimente? Chissà, ma è un grande risultato, vuol dire che il film ci ha trasmesso uno stato d’animo, ci ha fatto considerare plausibile un’idea oscenamente drammatica. Se il finale delude è perché offre troppa, immotivata speranza ad un personaggio apparentemente condannato, ma The Road non è SAW, non deve finire col cattivo che vince, è una storia che parla di uomini in lotta: è talmente terribile quello che si vede prima, che il finale appare lieto. Non lo è per niente. Va detto che il libro finisce allo stesso modo, quindi non è stato alterato – nella sostanza – il significato. The Road è una storia su quello che rende gli uomini umani, allora va bene così: il legame affettivo è ciò che tiene insieme la coscienza e impedisce ad alcuni uomini sia di arrendersi sia trasformarsi in bestie cannibali, di lottare non solo per la sopravvivenza fisica ma anche per quella spirituale. L’altro lato della medaglia è che conservare la propria umanità significa anche essere sconvolti dai ricordi di una vita passata e felice, che bisogna abbandonare per sopravvivere, costringendosi a camminare su un confine quasi invisibile. Il destino del padre è necessariamente diverso da quello del figlio, che non sa cosa sia una Coca Cola e non ha mai visto volare gli uccelli. Nella mancanza di questi ricordi, paradossalmente, c’è l’impossibilità di arrendersi alla disperazione e il germe di un’altra umanità. Viggo Mortensen conferma la sua duplice fisicità: diafano e fragile senza barba, incredibilmente affascinante e carismatico quando non si rade. La sua interpretazione è tutto il film: dalla commozione alla rabbia alla cattiveria, tutti gli stati d’animo passano nei suoi occhi mentre il suo personaggio lotta per non morire prima di aver insegnato tutto al figlio adolescente, persino come ci si spara. Il resto lo fa un mondo grigio e inospitale, sbiancato e morente, a metà tra la discarica di Wall-E e il post-atomico di Ken il Guerriero: le location sono fantastiche e realistiche (la CG è stata usata per togliere il verde), perfetto contrappunto iconografico di quello che accade nella storia, personaggio aggiunto in agguato contro Viggo e figlio. The Road non è un film per tutti, ma contiene tutti gli elementi che il cinema non dovrebbe mai tralasciare, indipendentemente dal genere e dal tono del film, e pertanto lo consiglio vivamente.

giovedì 3 giugno 2010

Prince of Persia

“Papà, mi compri un serpente?” *
Manuale di Istruzioni : start: tira fuori 7 euro per il biglietto triangolo: salta facendo un inutile ma spettacolare avvitamento laterale quadrato: insulta la principessa cerchio: aggrotta le sopracciglia senza particolari effetti sulla faccia da triglia che ti ritrovi croce: guarda la scollatura della principessa L1+L2: riavvolgi il tempo sempre fino al momento opportuno per la trama (trucco: tieni premuto L1 e premi su, giù, giù, destra, cerchio , sinistra, sinistra per uscire dalla sala ) Diciamocelo: la trama è quel che è (principe incontra principessa e salva il mondo con un pugnale magico che riavvolge il tempo). Gli attori son quel che sono. Però pensavo peggio. Ormai i videogiochi hanno trame così complesse e raffinate che sembrano film. Peccato che nel frattempo i film comincino ad avere trame così banali da sembrare un videogioco di vent’anni fa (tipo: idraulico salta sui tubi e picchia un gorilla…cavolo a pensarci ci verrebbe un film geniale con la trama di Donkey Kong.). Il paragone è d’obbligo, essendo Prince of Persia tratto da una serie famosissima e vendutissima di videogiochi: ho come l’impressione, però, che il film non sarà il primo di una lunga serie come accadde per il primo Prince of Persia videoludico. Non è che ci sia molto da scrivere: prendete Pirati dei Caraibi (fatto?) , togliete Johnny Depp, sostituite il mare con la sabbia, ecco Prince of Persia. A dire il vero, Pirati aveva un cast notevolissimo, mentre PoP può schierare solo un banale Ben Kingsley e l’ormai onnipresente e bravissimo Alfred Molina a supporto del duo Jake Gyllenhal/ Gemma Arterton, che fa rimpiangere persino Orlando Bloom e Scucchia Knightley in quanto a scarso appeal. Buono per passare una serata leggera al cinema, Prince of Persia convince nelle scene ambientate negli interni, nelle città persiane (meno in quelle in campo aperto e negli scontri fisici) e nel finale nel tempio, con ambientazioni che rubano la scena all’azione per dettaglio e ricchezza. Divertente anche la sequenza della corsa degli struzzi, con Alfred Molina che fa diventare oro ogni battuta che pronuncia. Peccato che il film sia troppo lungo e dopo un po’, all’ennesimo battibecco tra principe e principessa con lui strafottente e lei acida, petulante e in evidente stato di squilibrio ormonale si ha l’impressione di essere sotto l’effetto del pugnale e che sia stato riavvolto il tempo in sala…più cinema 3D di così…
* la battuta della serata è quella del bambino seduto accanto a me, dopo una scena in cui dei mortali serpenti attaccano il Principe. Visto che non ha chiesto al padre: Papà, mi compri una PlayStation?, c'è ancora speranza che diventi uno psicopatico vecchio stampo invece che un nerd, ma è una lezione dura per gli esperti di marketing che pensano a film come questi per aumentare il numero di consumatori, non certo quello degli allevatori di serpenti. Ma tanto alla fine il padre, per farlo stare buono e dissuaderlo dalla rettilofilia, gli comprerà una PlayStation comunque...
Per la cronaca, la seconda battuta della serata (anche questa, ovviamente, non parte della sceneggiatura del film) è stata quella del tipo molesto dietro di me che alla pubblicità della Costa Crociere, scena delle gnocche sui tapis roulant, ha detto, di cuore: "Ma chi te se incula, sto in vacanza, me metto a corre?". Prince of Roma EST.